Sono lieto che si sia deciso di riportare sulle nostre montagne l’orso, sapendo che c’è qualcosa di antico nel rapporto con l’orso se è vero che le popolazioni celtiche che abitarono la Valle la definivano “Grande Orsa”. Altri miti celtici - e viene in mente il Carnevale della Coumba Freide - sono rinvenibili nell’orso accompagnato da un cacciatore o un domatore, che lo porta in giro per le strade. Ci sono poi collegamenti fra Sant’Orso e l’orso, se pensiamo al famoso giaciglio che, esposto o meno in caso di bel tempo il 1° febbraio, dimostra le capacità divinatorie dell’orso sulla durata dell’inverno. Sulla scomparsa dell’orso in Valle d’Aosta ha scritto Fulco Pratesi: «per la catena alpina le tappe della scomparsa sono state assai rapide. Il canonico Vescoz di Aosta scriveva nel 1915: “Esisteva (l'orso) un tempo nelle foreste della Val d'Aosta ma dal mezzo secolo la sua razza è completamente scomparsa". Testimonianza attendibile se è vero che le ultime uccisioni risalgono al 1840 nella foresta di Chalverina a Gressoney e nel 1859 ai piedi del Gran San Bernardo (Perlini 1923)». Un’inchiesta dell'Eurac di Bolzano ci offriva già dieci anni fa la speranza di un ritorno spontaneo dell’orso: "negli ultimi anni sta ricolonizzando le Alpi provenendo sia dall'Appennino che dalla Slovenia. Sono stati fatti avvistamenti diretti e indiretti (peli, escrementi, danni) in Piemonte, in Lombardia e in Valle d'Aosta". Con la firma, prevista per domattina alle 10 in sala Giunta, da parte della Regione con la Provincia slovena di Črna na Koroškem si apre finalmente la certezza di riavere l’orso. Interessante anche la forma di baratto prescelta: per ogni orso gli sloveni riceveranno in cambio cinquanta fontine, un vitello di razza autoctona e dieci bottiglie di grappa, oltreché una foto in costume da bagno della Giunta regionale.