Sono in politica da molti anni e ho vissuto, come spettatore privilegiato a Montecitorio nei primi anni della mia carriera, le vicende incalzanti di Tangentopoli ed il crollo del sistema tradizionale dei partiti così come si era formato sin dalle origini dell'attuale Repubblica. Ho visto sorgere nuovi soggetti politici, ho assistito a cambi di casacca e di schieramento, ho avuto la fortuna di respirare quell'aria europea che rende, nel confronto, ancora più asfittica certa politica italiana. Da alcuni anni, come un'onda crescente, si nota un forte ritorno di fenomeni corruttivi: una specie di mappa a macchia di leopardo di fronte ad un'opinione pubblica che pare assuefatta e incapace - generalizzo, ovviamente - di ribellarsi e che finisce in sostanza per "fare di ogni erba un fascio" della classe politica. Ora due inchieste, quella di Milano sul Comune e quella di Firenze che ruota attorno alla Protezione civile, appaiono per l'ennesima volta rivelatrici, al di là delle responsabilità personali che caratterizzano il penale, di un sistema rinato o forse mai morto. Non si tratta di fare del moralismo da quattro soldi o mettersi in mostra su delle macerie fumanti, ma di capire se e dove avverrà uno scatto decisivo per evitare che il degrado della vita pubblica allontani l'Italia dal nocciolo duro dei Paesi europei. Già oggi le grandi decisioni politiche dell'Unione europea vengono assunte altrove e la quotidianità ce ne spiega le ragioni.