Le nuove tecnologie hanno creato una facilità straordinaria di accesso alla cultura. Attualmente sul mio "iPhone" (per non dire di un qualunque computer), oltre ad avere Internet che offre un accesso illimitato a fonti le più disparate, a seconda ovviamente dell'abilità di navigazione e di ricerca, ho - subito consultabile - dizionari di vario genere e lingua che danno suggerimenti linguistici, geografici storici e altro ancora. Sembrerebbe quest'offerta, che finisce con la connessione per essere illimitata, una soluzione ideale contro il rischio, sempre esistente dalle materne all'Università, di cadere vittima degli eccessi di nozionismo.
Invece, a ben vedere, questa facilità di avere una biblioteca sterminata, che riempie quel gap che in passato pesava su chi aveva condizioni familiari modeste e non aveva il vantaggio di avere a propria disposizione una biblioteca ben fornita, ha un rovescio della medaglia, da cui è bene guardarsi. C'è il rischio infatti di essere vittime di un abbaglio: se ho tutto questo a mio disposizione perché devo studiare e approfondire determinati argomenti, se posso in un batter di ciglia avere a disposizione - a diversi livelli di approfondimento - tutto lo scibile umano? Io appartengo ad una generazione "ponte" fra il passato e il futuro: siamo stati, per così dire, sia da una parte che dall'altra, passando con una velocità supersonica da un mondo di assimilazione personale e di difficoltà di accesso alle fonti ad una realtà collettiva come la Rete, da cui sgorga tutto come l'acqua di fonte. Questa consapevolezza di un prima e di un dopo non esiste nelle nuove generazioni, paracadutate come sono in una dimensiona nuova, apparentemente più facile. Perché scrivo "apparentemente"? Perché l'impressione è proprio che esista il rischio di ritenere che tutto questo ben di Dio liberamente accessibile permetta di poter fare a meno di quella cultura personale che era un vanto per chi ha la mia età: una sorta di enciclopedismo che era fatto di letture onnivore, di contatti plurimi, di voglia di capire e di studiare anche materie che non si amavano. In questo l'Università, ad esempio, mi ha costretto a materie come la Statistica o l'Economia, che guardavo con una qual certa repulsione e poi, invece, ho scoperto l'acqua calda, vale a dire che la curiosità intellettuale e i metodi di apprendimento ti rendono accessibile l'intero mondo della cultura, avendone voglia e tempo. Bisogna far capire ai nostri figli il rischio della superficialità da consultazione, di una logica perenne da "bignami", di un "mordi e fuggi" senza approfondimento, che può rende i giovani più fragili e meno resistenti al rimbambimento derivante da un mondo in cui la superficialità fa status. Ho letto, con divertimento, di come i nouveaux riches, protagonisti di una sorta di Versailles mondiale, siano attori o artisti televisivi, il cui livello culturale può, ovviamente non sempre, essere pari a zero. In Italia questo ha portato alla semplificazione da sondaggio in cui le figure di riferimento per molti ragazzi sono i calciatori o le veline. Studiare stanca, ma resta l'unico antidoto alla catatonia di un'accessibilità che può rendere fragile o apparentemente inutile la cultura personale.