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08 set 2009

Bimbi dittatori

di Luciano Caveri

E' un argomento consueto di conversazione e, per altro, l'osservazione del fenomeno è banale. Basta fare attenzione per strada o a casa di giovani amici. La visibilità deriva oltretutto da un confronto con il passato e con quegli atteggiamenti diversi rispetto a quel che è stata per tanto tempo, nel bene o nel male, la normalità. Mai come oggi i genitori, ruolo difficile per il quale stranamente non ci sono lezioni, esami o patenti, sono troppo spesso "anima e core", atteggiamento inteso come posizionamento acritico e spesso catatonico, dalla parte dei propri figli. Un atteggiamento protettivo bello, nobile e naturale che oggi rischia di tracimare in un difensivismo e in un perdonismo avulsi dalla realtà. Della serie: i pargoli - la cui presenza prolungata in famiglia diventa, sotto l'ala dei genitori, come un elisir di giovinezza - hanno sempre ragione.

Le basi su cui si fondano i fatti sono di carattere educativo e una volta dato l'imprinting, come insegnava l'etologo Konrad Lorenz, non c'è più spazio di manovra. Noto come si assista sempre di più al diffondersi del modello "bambino dittatore". Una specie di Hulk in erba che si fa più grande e grosso della sua età, mettendo in scacco i genitori fra urla e strepiti. Esiste poi il modello "Terminator", che è il bambino libero di muoversi, «senza limiti e confini» (Mogol), turbando da solo la celebrazione di una Messa, un'intera pizzeria, un vasto supermercato. I genitori dei due modelli indicati sono forse troppo amorevoli e tra l'altro in caso di tentativo d'intervento terzo insorgono come delle bisce a difesa di una loro presunta scelta educativa, tipo laissez-faire, che dovrebbe consentire ai pargoli-dittatori quella libertà indiscriminata, viatico - immagino - per diventare persone mature e posate nel volgere di pochi anni. Assicuro che tale visione diventa drammatica in età scolare, quando nasce una foga "anti insegnanti" quando sorge il dubbio che il bambino o il giovane venga trattato come il triste protagonista de "L'Incompreso", film di Luigi Comencini del 1966 che turbò i sogni dei ragazzini di allora per il suo tragico epilogo. Nessuno rimpiange i genitori eccessivamente severi o distanti, così come le norme rigide da collegio o le punizioni corporali di una volta, ma la scelta sfacciatamente libertaria che sa di resa incondizionata a doveri e obblighi suona come una lugubre campana a morte per la civile convivenza.