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31 mag 2022

Retorica buona e cattiva

di Luciano Caveri

Ci sono parole double-face, il cui significato cambia a seconda del contesto ed è bene esserne coscienti. E' sempre interessante come certe espressioni, come tante altre cose nella vita, siano chiare o scure nello stesso tempo. Viene in mente il Giano Bifronte, "Ianus Bifrons", una delle più antiche divinità degli antichi latini e dei romani, venerata fin dagli albori della città di Roma. Raffigurato con due volti, uno speculare all'altro. Prendiamo il termine "retorica" ed affondiamo nel passato con una prima definizione standard da dizionario: "L'eloquenza come disciplina del parlare o dello scrivere, fondamento di gran parte dell'educazione letteraria dall'antichità classica fino a un'età molto recente". Rovesciamola nel significato più attuale e troviamo il negativo: "Atteggiamento dello scrivere o del parlare, o anche dell'agire, improntato a una vana e artificiosa ricerca dell'effetto con manifestazioni di ostentata adesione ai più banali luoghi comuni".

Sulla prima definizione ha scritto Andrea Granelli, autore di libri sul tema: «La "téchné rhetoriké" - tecnica ma anche arte retorica - non ci insegna solo a esprimerci con efficacia ma soprattutto "a ben ragionare". Anzi è la più importante tecnologia della mente di cui disponiamo. Ben nota agli antichi (e un po' meno a noi moderni) era la base del curriculum studiorum della classe dirigente». L'altra retorica - la seconda - uccide. E' come una conchiglia vuota: bella a vedersi, ma in realtà inanimata, fasulla, enfatica. Ci penso sempre quando incappo nell'esaltazione della "valdostanità" da parte di chi la usa in modo strumentale, facendo la coda come i pavoni. Nello spendere parole stucchevoli si mira all'apparenza per attirare l'attenzione e si evidenzia poca sostanza. La logica è quella da imbonitori. Sento spesso questa oratoria vacua con testi letti in modo impersonale e con la ripetizione di cose trite e ritrite che finiscono per fare danni alla causa. Ecco perché predico l'insegnamento di quella disciplinare poliforme - a difesa di uno spirito identitario - che è la Civilisation Valdôtaine, che deve saltare dalla Storia alla Geografia, dall'Arte alla Musica, dalle Tradizioni agli Usi e Costumi. Senza indulgere alla retorica cattiva e populista, ma aprendo agli orizzonti della conoscenza per farne uso utile attraverso la retorica buona che è confronto su basi culturali che consentano di farlo con competenza e giudizio. Perché questa è la democrazia, vale a dire essere consapevoli di quel che si dice, usare argomenti che si conoscono, essere il più possibile esatti nei riferimenti e nelle citazioni. Retorico - per essere nel mondo digitale - è una parte dell'uso dei "social", laddove si spreca l'armamentario di cuoricini e gattini, di frasi melense e saluti standard. Anche la pandemia, scevra dai suoi danni e dai suoi drammi, ha distillato il peggio. Per non dire della rievocazione delle tragedie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, così piene di orpelli e esibizioni, da svilire la secchezza drammatica e l'orrore sanguinante della mafia.