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17 mag 2022

Quei bambini e ragazzi

di Luciano Caveri

Ci sono giorni in cui annotare i propri pensieri risulta più difficile. Sarà la stanchezza o anche - senza drammatizzare - lo "scoramento" (quel che resta del verbo ormai in disuso "scorare"). Avviene quando le cose si accumulano e devi dipanare la matassa e anzitutto resettare te stesso. Nulla, per fortuna, di irreversibile. Una sorta di amarezza e di apprensione assieme, che nel mio caso, per carattere di cui non ho merito, svanisce abbastanza in fretta. Occasione, comunque sia, per fissare qualche pensiero in più sulla spinta dell'emotività che del solo raziocinio. E' come se in questa fase - ognuno con la propria sensibilità e il proprio approccio - ci stessimo scongelando in questi giorni in cui si avvertono, come caldo sulla pelle, il venir meno delle restrizioni per il covid-19. Viviamo un senso di ritrovata libertà di cui noi vaccinati possiamo prenderci il merito e appuntarci una medaglia, non curandoci dei "no-vax" che festeggiano non si sa cosa, smemorati del loro scarso senso civico e anzi sono pure in una fase in cui montano in cattedra.

Per me l'aspetto più importante è - nella delega che ho sulla scuola - quello di aver potuto godere in questi giorni di incontri vari (come si dice, "in presenza"): dalle scuole materne al "Concours Cerlogne" per festeggiare il nostro patois alle Superiori, per ricordare gemellaggi scolastici anche transfrontalieri o per onorare il personale sanitario e la loro generosità in epoca pandemica. E' stato bello e lo sarà ancora ritrovare in bambini e ragazzi quella loro joie de vivre che si dimostra come non mai indispensabile in questo periodo complesso. Ho sempre invidiato chi insegna nelle scuola con reale vocazione per trarre da loro quella energia che emanano e quella loro curiosità nello scoprire il mondo, che è un patrimonio da tenere stretto. Cosa ne sarà di loro, pensando a questi tempi cupi, in cui ci mancava arrivasse la guerra con connessa minaccia nucleare? E' un bel rovello. Reso ancora più complesso da una triste constatazione. Più volte ho annotato qui un mio ottimismo: dopo i periodi difficili crescerà necessariamente un clima di fiducia e una spinta positiva verso il futuro. Spiace constatare che restano molti musi lunghi, atteggiamenti pessimistici e attitudini più difensive che intraprendenti. Intendiamoci: non è che ci sia da festeggiare o da farsi alla pazza gioia. Esiste ancora una fatica di vivere, scorie dei momenti difficili e le prospettive non sono solo rosee, specie per una politica valdostana nelle mani di capricci di singoli. Tuttavia guardando i volti dei giovani sentivo, ragionandoci, come sia doveroso in primis per noi adulti - qualunque ruolo si ricopra - avere un atteggiamento costruttivo verso l'avvenire. So che è più facile dirlo che farlo, ma non credo valga la pena di indulgere solo quello che non funziona e diventare in qualche modo fatalisti. Charles de Gaulle, rimasto con la schiena dritta in momenti difficilissimi, scriveva: «La storia non insegna il fatalismo. Ci sono momenti in cui la volontà di una manciata di uomini liberi rompe il determinismo e apre nuove strade». Aggiungerei anche che bisogna essere ottimisti, perché questo è un atteggiamento doveroso proprio rispetto a quelle giovani generazioni che ho citato in premessa, che meritano ogni nostro (e loro!) impegno.