D'estate in Valle d'Aosta potranno esserci cose che non funzionano, ma le sagre reggono e anzi si sviluppano anche su prodotti eccentrici o perché illogici con il territorio (penso alla mozzarella...) o perché sopravvivenza di un passato che non c'è più (mi riferisco alle rane...). Rassicura in questo senso la "Festa del lardo di Arnad", prodotto radicato e veritiero, che è un classico del periodo dell'estate declinante, sapendo che gli Arnayot sono bravi organizzatori e festaioli di gran livello. Kermesse di enormi dimensioni - prendo per buoni il dato dei cinquantamila visitatori dello scorso anno, anche se un pochino mi stupisce - ruota attorno ad un prodotto antico e - come dire? - per nulla "light" in un periodo nel quale anche la salumeria del maiale cerca di allontanarsi dal grasso. Anche se poi, in dosi accettabili, come spiegò anni fa il dietologo Eugenio Nebiolo, con i presenti pronti all'abuso, la percentuale di colesterolo causata da questo alimento non è così terribile. L'unico rischio, oltre al non esagerare nello strafocarsi, viene dal celebre detto "Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino", che deve avere di certo a che fare con il rischio di taglio con le lame con cui si tagliavano le sottili fette della prelibatezza! Il "Lardo d'Arnad" è "DOP", cioè "denominazione d'origine protetta", ed il label è stato ottenuto a tempo debito e questo ha consentito di legare la produzione tradizionale al territorio di Arnad, antidoto contro le imitazioni, che ogni tanto si manifestano, come mi è capitato di notare anche in Valle. Oggi Bruxelles ha reso più difficile l'accesso a questo riconoscimento e chi ce l'ha deve perciò tenerselo bel stretto. Ricordo che il disciplinare, nel dettare le regole, prevede che "gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" debbono essere situati nel territorio delle seguenti regioni: Valle d'Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele". Chi si stupisce fa male, perché mai potrebbero esserci così tante porcilaie locali per coprire le necessità e il prezzo ambientale sarebbe enorme. Ricordo che più avanti si ricorda che il lardo "è ottenuto dalla spalle e dal dorso dei suini di almeno nove mesi e all'immissione al consumo presenta uno spessore non inferiore a tre centimetri. Nel procedimento di salatura si impiegano, oltre alla salamoia composta da acqua e cloruro di sodio cristallizzato, aglio, lauro, rosmarino e salvia con l'eventuale presenza di altre erbe aromatiche ed eventualmente spezie non macinate quali ad esempio chiodi di garofano, noce moscata, grani di ginepro. Sia le erbe aromatiche che le spezie non devono comunque essere predominanti su rosmarino, aglio, salvia e lauro". Poi le regole per la stagionatura e affini: "Il regime climatico dell'area di elaborazione è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente legato alle tipiche condizioni ambientali. Il lardo deve essere tagliato e collocato negli appositi contenitori di legno (Doils) dopo non oltre 48 ore dal giorno successivo alla macellazione Il legno usato per costruire i doils deve essere di castagno, rovere o larice". Tralascio le successive e dettagliate prescrizioni, perché poi quel che conta è il fatto che un prodotto povero abbia raggiunto il risultato commerciale che è sotto gli occhi di tutti. Mi vien da ridere a pensare alla faccia di qualche grande manager di industria alimentare che si fosse trovato davanti a un prodotto così ruspante da dover rendere famoso: immagino che avrebbe scosso la testa con evidente diniego. Ed invece chi la dura la vince e mi è capitato spesso, anche in ristoranti stellati, di trovare pietanze con l'aggiunta - come se fosse una medaglia - del "nostro" lardo. Dico "nostro" non solo perché "DOP" valdostana, ma perché seguii con simpatia gli sforzi sul prodotto del mio amico Rinaldo Bertolin, persona purtroppo scomparsa anzitempo e celebrata oggi attraverso il suo marchio aziendale, per affermare - assieme ad altri del paese - il lardo sulla scena dei prodotti gastronomici di eccellenza, uscendo dalla piccola dimensione del consumo regionale.