Senza danza della pioggia…

Pensa che polemiche, quali Comitati nascerebbero, quanti firmatari di una petizione, marce silenziose di protesta, denunce a tutte le magistrature terracque, sit-in con cartelloni e via di questo passo con catene di Sant’Antonio sui Social con flash mob e profluvi di comunicati stampa attaccanti.
Se…se uno si svegliasse un mattino e dicesse: abbiamo in Valle d’Aosta un gruppo scientifico che sta studiando modalità per far nevicare dal cielo in annate in cui a pensarci non è la Natura. Non mi riferisco alla santa neve dei cannoni artificiali, ma alla neve neve.
Ci pensavo - devo precisare che scherzo, anche se mai dire mai - rispetto ad un articolo di Le Monde.
Si occupa di un pallino dei cinesi il giornalista Lan Wei: ”Modifier artificiellement la météo, faire tomber la pluie et répondre ainsi aux besoins de sa population et de son économie : telle est l’ambition affichée par l’Agence météorologique chinoise, qui a lancé son premier plan national en ce sens fin 2019. La presse étrangère s’en est émue, pas les Chinois, tant le « ren gong zeng yu », ou le renforcement artificiel des précipitations, était déjà une pratique courante dans le pays”.
Poi spiega il giornalista: ”La technique employée consiste à ensemencer les nuages afin de provoquer les précipitations avec l’injection de particules de sel ou d’iodure d’argent par avion, roquette ou appareil diffusant la fumée depuis le sol. Cela fait plus d’un siècle que les scientifiques étudient les dispositifs de modification météorologique et la Chine se positionne aujourd’hui comme le leader mondial de cette pratique. Historiquement, les ressources en eau sont très inégalement réparties dans le pays – la moitié nord en dispose de moins de 20 %. Mais, avec la pression du réchauffement climatique, même les provinces du Sud ont gravement souffert de la sécheresse de 2022”.
Il tema è ben noto in molte altre zone del mondo, pur con diversa gravità. E ricorda che questa storia di ”bombardare” il cielo è una storia di cui avevo già letto nel passato remoto.
Cosa capita? Così l’articolo: ”Chaque ville chinoise dispose d’un plan local d’ensemencement des nuages, dont la mise en œuvre est assurée par les fonctionnaires et chercheurs, en coopération avec les militaires. Entre juin et novembre 2022, l’ensemencement effectué par 241 vols d’avion et 15 000 lancements de roquettes aurait provoqué « 8,56 milliards de tonnes de pluies supplémentaires » dans le bassin du fleuve Yangtze, d’après Le Quotidien du Peuple”.
Non si tratta di scelta solitaria: ”Mais la Chine est loin d’être la seule à vouloir exploiter les nuages à son avantage. Etats-Unis, Emirats arabes unis, Russie, Arabie saoudite, Afrique du Sud, Thaïlande, Mexique… Plusieurs pays ont des programmes visant différents objectifs : diminuer l’impact de la sécheresse sur les activités agricoles, sécuriser l’approvisionnement en eau potable, lutter contre les feux de forêt, conserver et restaurer les écosystèmes… En France, l’ensemencement des nuages est réalisé dans une vingtaine de départements par l’Association nationale d’étude et de lutte contre les fléaux atmosphériques et l’entreprise Selerys. Le but est de prévenir des dégâts potentiels dus à la chute de grêlons dans les champs agricoles au printemps et en été ».
Insomma: l’ambizione di controllare di più anche certi fenomeni atmosferici potenzialmente disastrosi, come ben vediamo anche sulle Alpi.
Ma Wei scrive più avanti anche dei dubbi in merito a certe pratiche: ”Si beaucoup rêvent de faire pleuvoir à souhait, l’homme ne peut pas créer de précipitation ex nihilo. Selon des scientifiques des Nations unies, auteurs d’un livre sur les tentatives d’exploitation non conventionnelle d’eau (Unconventional Water Resources, Springer, 2022), il est à ce jour « impossible de fabriquer un orage artificiellement ou d’altérer les vents pour transporter les vapeurs d’eau vers une région », car l’énergie nécessaire à de telles opérations serait beaucoup trop importante”.
Dopo aver elencato altri dubbi il reportage così chiarisce ancor meglio verso la fine l’andamento delle ricerche: ”Malgré leur efficacité relative, les opérations continuent dans le monde, non sans susciter des controverses. Par exemple, dans l’ouest des Etats-Unis, face à une crise de l’eau aggravée par le réchauffement climatique, le gouvernement fédéral a annoncé en mars un investissement de 2,4 millions de dollars (2,2 millions d’euros), destiné à multiplier les campagnes d’ensemencement des nuages dans les sept Etats du bassin du fleuve Colorado. Beaucoup qualifient ces programmes de « bataille des nuages », raconte Kathryn Sorensen, directrice de recherche à l’université d’Etat de l’Arizona et spécialiste des politiques de l’eau. En effet, cette pratique peut être considérée comme « un détournement efficace de l’humidité atmosphérique » au détriment des Etats ou pays voisins ».
Ma le sperimentazioni proseguono con qualche dubbio su certe sostanze adoperate: ”Dès 2006, le Centre international de recherche sur le cancer a classé le dioxyde de titane – toutes tailles confondues – comme « cancérogène possible pour l’homme ».
Dans le monde, il n’existe aucune réglementation sur l’emploi des substances chimiques à des fins d’ensemencement des nuages. Pourtant, certains chercheurs pointent les risques que présente l’iodure d’argent. Une étude publiée en 2016 dans la revue Ecotoxicology and Environmental Safety indique que l’accumulation du composé peut « modérément affecter » les écosystèmes terrestres et aquatiques.”.
Questione da seguire, insomma, con grande cautela, nella logica dei principi di precauzione, ma chissà se, affinando le modalità di intervento, non si riesca davvero a trovare soluzioni pulite ed efficaci.

Pensieri estivi sulla democrazia

I sistemi democratici prevedono il voto come passaggio per ottenere un ruolo politico . Detta così appare una evidente banalità. Ed invece è il cuore della democrazia. Anche se pende sempre la minaccia, ben visibile nel tempo in passato come oggi, di chi ottiene il potere con il voto degli elettori a suo favore e poi trasforma il regime politico in un’autocrazia. Non è un fenomeno così inusuale e per questo le riforme costituzionali vanno sempre seguire con il giusto interessamento.
Traggo da un articolo del Sole 24 Ore il più recente rapporto annuale di un noto giornale inglese: il settimanale britannico Economist, che ha compilato la classifica sullo stato di salute di 167 Paesi del mondo, dividendo i governi in democrazie piene, imperfette, regimi ibridi e autoritarismi. Ecco tutti i dati. Per quanto riguarda le Democrazie piene,  siamo intorno a quota 24, il migliore governo del mondo si conferma la Norvegia, con un punteggio globale di 9.81/10. Confermata anche la Nuova Zelanda al secondo posto, mentre l’Islanda ha superato la Svezia nell’occupazione del terzo gradino del podio. Seguono e completano la top ten Finlandia, Danimarca, Svizzera, Irlanda, Paesi Bassi e Taiwan”.
Per il resto: ”Se guardiamo al numero della popolazione mondiale, appena l’8% per cento vive in questi 24 Paesi.  Resta invece invariato il numero degli autoritarismi, 59 in totale”.
Per la cronaca l’Italia fa parte della categoria Democrazie imperfette e figura  alla 34esima posizione globale, in calo di tre posti rispetto al 2021, con un punteggio di 7.69. I meccanismi della democrazia italiana a mio avviso stanno peggiorando ancora: Parlamento sempre più indebolito, Presidenza del Consiglio affetta da gigantismo, regionalismo sempre più calpestato, classe politica in perdita di competenza.
Tornando al punto, per il politico il rapporto con gli elettori è fondamentale. Penso che debba essere basato sul rispetto. Chi ottiene un ruolo pubblico deve dimostrare di essere degno e gli elettori devono pretendere impegno e probità.
Quel che ormai mi urta è chi passa il tempo a valutare i cittadini solo nella loro veste di elettore e a occuparsi non dei loro legittimi diritti.
Molti anni fa, prima del dilagare dell’astensionismo, scriveva il politologo Norberto Bobbio: ”Nei regimi democratici, come quello italiano, in cui la percentuale dei votanti è ancora molto alta (ma va scemando ad ogni elezione), vi sono buone ragioni per credere che vada diminuendo il voto di opinione e vada aumentando il voto di scambio, il voto, per usare la terminologia asettica dei political scientist, orientato verso gli ouptut, o, per usare una terminologia piú cruda, ma forse meno mistificante, clientelare, fondato se pure spesso illusoriamente sul do ut des (sostegno politico in cambio di favori personali)”.
Un evidente malcostume che viene praticato con un evidente logica di complicità e - lo ripeto - non ha a che fare con la legittima esistenza di farsi interprete nelle Istituzioni di progetti, programmi, idee che emanano da partiti e movimenti. È invece il patto luciferino di chi si occupa questioni che ledono i diritti di altri con regalie, aiutini, spintarelle.
Ha scritto Giovanni Soriano, aggiungendo una categoria: ”Vista la mancanza di giudizio della maggior parte degli elettori, che continuano a votare anche coloro che hanno dimostrato sul campo di non meritare alcuna fiducia, c’è soltanto una categoria più dannosa dei politici corrotti, ed è quella dei politici incompetenti. Se i primi, infatti, si possono fermare col carcere – almeno in teoria –, ai secondi non c’è riparo”.

Puntuale il Ferragosto

Ferragosto coincide quest’anno per me con alcuni giorni di vacanza. Quanto ho sempre aborrito, perché costa tutto più caro e c’è troppa gente in giro.
Ha scritto bene Beppe Severgnini: “Ogni anno, all'inizio dell'estate, si leggono dotte analisi sulle ferie scaglionate, le vacanze «mordi e fuggi», le partenze ragionevoli (intelligenti, sembra eccessivo). Poi arriva Ferragosto ed è tutto come sempre: la gente, se appena può, a casa non ci sta. Mordiamo sì, ma solo se non ci lasciano fuggire lungo autostrade affollate. Non si capisce se siamo costretti o invece amiamo il rito collettivo e i suoi aspetti barbarici: resse, code, attese, sofferenze e lamentele”.
Ho sempre teorizzato l’incanto delle lunghe giornate di Giugno e la calma di Settembre. Ma i giochi ad incastro familiari mi hanno costretto al cimento e volerò distante e ne parlerò se ci saranno spunti per farlo.
Così tocca ragionare sul senso della vacanza e di quello spazio diverso dal solito per chi ha la fortuna di poterlo fare.
Inutile raccontarsi storie: tutto ormai è diverso. Un tempo la vacanza, se non domestica che è altra cosa, significava staccare davvero. Raccontare ai giovani di quel mondo incantato, fatto di cabine telefoniche e ozio senza digitale impellente, immagino che possa risultare ridicolo per chi, come ormai noi stessi, vive l’assillo della perenne connessione.
Ricordo quando vidi spuntare in mezzo agli ombrelloni- e non molti anni fa - gli antesignani dell’uso del tablet in spiaggia e quanto li trovassi volgari e inopportuni. Oggi è la normalità per tutti.
Capitava in certe escursioni di incontrare persone con cui si creavano quelle amicizie istantanee, destinate a finire con il tempo della vacanza. Oggi è rarità, essendo tutti sprofondati nel telefonino con l’ansia di non avere il segnale o la batteria bassa a rischio spegnimento.
Ci possiamo ridere e constatare quanto si sia ipocriti a fare la morale ai figli più piccoli ormai asociali seriali, ma poi da dove viene la predica se noi adulti - pure imbranati con certe novità digitali che ci obbligano al continuo apprendimento - facciamo persino peggio. Vittime come siamo di un assillo trasformatosi in dolce dipendenza.
Così la vacanza stessa si trasfigurare e diciamocelo chiaro e tondo: non ci si riposa mai, perché non si stacca come avveniva in passato.
In salsa vacanziera emerge il tema che fa impallidire la lotta dura e pura sul salario minimo, che sarà pure condivisibile (e tra parentesi dovrebbe essere terreno sindacale), perché ormai l’argomento a tutela di tutti sarebbe il sacrosanto diritto alla disconnessione. Sarebbe un marameo alla mail che arriva, al Whatsapp che spunta, alla call cui non si può mancare, al Social che pulsa nelle nostre mani. Quel che pareva all’inizio un Paradiso è oggi un Inferno, che non ti consente di sgombrare la mente da molti pensieri e di esercitare il diritto da mettere in Costituzione del “far niente” nelle feste più o meno comandate.
Mi sentirei talvolta di essere un luddista o un sabotatore e buttare in mare o in dirupo montano telefonino e IPad e so di non potere farlo non per logica o diritto, ma perché queste diavolerie mi stregano e mi impediscono di essere libero di godermi la vacanze e il già evocato ozio.
Che non è un disastro, ma andrebbe gestito con altre curiosità che non siano l’ipnosi da Web e affini. Scriveva Bertrand Russel, prima della schiavitù digitale: “Essere capaci di riempire intelligentemente le ore di ozio è l’ultimo prodotto della civiltà, e al giorno d’oggi pochissime persone hanno raggiunto questo livello”.
Figurarsi cosa direbbe oggi di noi ingobbiti sui dispositivi che perdiamo panorami, luoghi, pensieri in libertà e tutto quello che la vita in vacanza ci propone con proposte diverse dal solito tran tran.

Parole in disuso

Le parole sono frecce, proiettili, uccelli leggendari all’inseguimento degli dei, le parole sono pesci preistorici che scoprono un segreto terrificante nel profondo degli abissi, sono reti sufficientemente grandi da catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte le parole non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura varcano con facilità.
(Jón Kalman Stefánsson)

Mi sono messo a ragionare in un momento di calma piatta sulle parole, cui dedicherò non solo oggi qualche pensiero.
Partirei da una spiegazione dotta della Treccani, che così sintetizza sulla lingua italiana: ”Possiamo immaginare la lingua come una enorme torta. Una fetta di questa torta è costituita dal Lessico comune, costituito di circa 47.000 vocaboli, conosciuti e adoperati da chi ha un’istruzione medio-alta (a prescindere dalla professione esercitata e dagli interessi personali). Diciamo che queste parole vengono usate non molto spesso, ma rendono il discorso più ricco, vario e preciso. Però, a ben guardare, le “parole che usiamo in genere” sono molte di meno ma coprono comunque praticamente tutte le necessità del vivere quotidiano. Queste parole costituiscono un’altra fettina della torta. Si tratta del Vocabolario di base della nostra lingua: 6.500 parole, con le quali copriamo il 98% dei nostri discorsi”.
Leggo poi di una parte di popolazione che si accontenta e si destreggerebbe nei dialoghi con non più di 800 parole…
Dando un’occhiata in giro, trovo elenchi vari di parole considerate ormai defunte e penso che ognuno di noi potrebbe aggiungere.
Il de profundis varrebbe ad esempio per: Abbacinare: accecare, ingannare, abbagliare momentaneamente; Ingramagliare: vestirsi a lutto; Sagittabondo: che scocca sguardi che fanno innamorare; Tornagusto: stuzzichino, cibo che stimola l’appetito; Sgarzigliona: prosperosa fanciulla; Sacripante: briccone, uomo grande e grosso.
La prima in elenco l’ho usata, le altre mai, l’ultima l’ho sentita come esclamazione ormai sostituita da parolacce che sono state sdoganate.
Altre parole considerare defunte: Inanità: vacuità, inutilità; Pletorico: eccessivo, esagerato, più numeroso del necessario; Trasecolare: allibire, rimanere sconcertato, sbalordito; Bislacco: comportamento molto bizzarro, tipo strambo; Luculliano: pasti raffinati, lussuosi, costosi e abbondanti.
Confesso le mie colpe: mi capirà di usarle, anche se ammetto che sono piuttosto desuete.
L’elenco prevede ancora: Smargiasso: persona che ingigantisce le sue qualità, che si vanta di imprese o capacità  inventate; Ineluttàbile: difficoltà contro cui non si può lottare, problemi che non non si possono contrastare, quindi inevitabili; Gargantuesco: nel dizionario si definisce con questa parola ciò che ha dimensioni esagerate, smisurate, gigantesche; oppure una mangiata abbondante, un’abbuffata; Sciamannato: trasandato, disordinato, trascurato nell’aspetto; Obnubilarsi: capacità di vedere e comprendere indebolita, offuscata.
In effetti sono parole non molto comuni, come Lapalissiano: di cosa o fatto scontato, del tutto evidente; Pleonastico: ridondante; Artefatto: affettato, artificioso; Trasecolare: rimanere sconcertato, sbalordito, allibire; Apostrofare: assalire qualcuno con tono brusco e deciso, con discorsi nervosi, concitato; Forbito: accurato, elegante, ma eccessivamente lezioso: Solipsista: chi non vede che il proprio mondo, atteggiamento di soggettivismo estremo, chi è troppo concentrato su se stesso e ignora gli altri; Meditabondo: immerso nei propri pensieri, assorto.
È bello pensare alle parole come viventi, come sono nate sono morte, viventi nel passato e proiettate nel futuro, brave ad attraversare le frontiere e passare così da una lingua ad un’altra, cangianti nel loro significato, scolpite nella pietra e impallidite negli inchiostri, urlate e sussurrate, nell’Odio e nell’Amore.
Vivono nelle nostre vite e non si fanno imprigionare.
Fa sorridere l’avvocato Mario Postizzi: “Nel vocabolario le parole sono allineate, stanno sull’attenti, hanno la faccia pulita. Appena si incrostano di realtà, rompono le righe e si liberano disordinatamente nelle piazze: allentano cintura e cravatta, mostrano la lingua e si sporcano le mani”.

L’irrazionale

I giornali quotidiani sono alla ricerca di nuovi equilibri. La versione cartacea soffre dei ritardi fra stampa, distribuzione e lettura e quella digitale è stenta a trovare una propria via originale. Si aggiunge, facendomi orrore, l’idea che le redazioni si stiano smaterializzando con logiche di smart working che non consentiranno più quel mix di personalità e di esperienza di un lavoro collettivo, che dev’essere in presenza!
La stessa logica di rapporto con le novità tecnologie e nei sistemi di lavoro colpisce i settimanali con un grande vantaggio: tocca loro il tempo importante di approfondimento, che è meno colpito dalla crescente velocità dei tempi del mondo dell’informazione.
Ci pensavo leggendo L’EXPRESS che si occupa in due articoli arricchenti di quei fenomeni irrazionali che picchiano duro. Bastano alcuni spunti per far girare le rotelle del nostro cervello e fare i necessari legami con la nostra vita quotidiana.
Scrive in un passaggio di un suo articolo Stéphanie Benz: “C’est un fait : médiums, sorcières, magnétiseurs, et paranormal n’ont jamais été autant à la mode. Il ne faut pas s’en étonner, mais peut-être faut-il s’en inquiéter. Même si les sociologues n’y voient que des « croyances à moitié » (« Je sais bien que c’est faux, mais… »), ils constatent aussi que cet engouement va souvent de pair avec une méfiance à l’égard de la science, de la médecine et plus largement de toutes les autorités établies. Avec, à l’extrême, des liens avérés avec le complotisme et les mouvements identitaires les plus rances. Il faudra plus qu’un coup de baguette magique pour assister à un retour de la raison. Celui-ci est pourtant souhaitable”.
Già, la razionalità messa troppo spesso all’angolo con molti - intelligenti e preparati - che si fanno prendere per il naso e inseguono fantasmi ben presentati e dunque ci si infila in strade prive di fondamento.
Più avanti, sfogliando la rivista, spuntano gli extraterrestri e scrive Sylvain Fort, che parte dall’ultimo passaggio negli Stati Uniti: “Le Congrès des Etats-Unis décida d’auditionner David Grush, ancien militaire de l’US Air Force et officier de renseignement. David Grush comparaissait sous serment, flanqué de deux autres grands témoins, David Fravor et Ryan Graves, anciens pilotes de l’US Air Force. Questionnés sérieusement, les trois hommes affirment avoir la certitude que les services américains possèdent des débris de vaisseaux extraterrestres et ont pu recueillir les créatures qui les pilotaient. Ils prétendent même en avoir la preuve, sans en avancer réellement aucune. Le sérieux de ces trois anciens militaires n’avait jamais été démenti quand ils étaient dans l’armée. Qu’ils aient perdu le sens commun depuis est une hypothèse.
Cette audition est le fruit de la diffusion publique d’images captées par des navires de guerre américains de ces UAP (Unidentified Aerial Phenomena), ayant conduit le Pentagone à admettre qu’il abritait une cellule dédiée à la recherche sur ce sujet. Cette audition devant le Congrès n’est donc pas tombée du ciel (si j’ose dire). Elle est le résultat d’une campagne menée méthodiquement par des individus convaincus que le gouvernement américain possède des informations qu’il est temps de mettre sur la place publique, et qui ont joué les lanceurs d’alerte”.
Il ragionamento più avanti convince:
“Nous aurions presque envie que tout cela soit vrai. Pourquoi ? Eh bien parce que nous vivons une époque où l’humanité aura rarement eu aussi peur d’elle-même. Guerre nucléaire, intelligence artificielle, fanatismes, réchauffement climatique : nous avons nous-mêmes créé les monstres qui nous empêchent de dormir. Pour cela, l’humanité se déteste”.
Ecco dunque sperare nelle civiltà aliene: “Elles ont cette vertu immense de nous faire croire que l’humanité terrestre présente encore un certain intérêt aux yeux de civilisations lointaines et avancées, qui viennent la visiter avec une discrétion et une patience d’entomologiste”.
Interessante il parallelo fra i misteri di un’Universo che mi ed ora non risponde all’ipotesi di altre forme di vita con cui confrontarci e il baratro di mondi irrazionali che ci costruiamo noi con i piedi sulla Terra.

Far la morale al cornuto

Mamma mia quanti moralisti sulla vicenda torinese, resa pubblica con tanto di filmato finito sul Web certo non a caso, del futuro sposo che con un dolente e velenoso monologo ha scaricato la futura sposa. Gelido e assieme furioso lui, statua di sale lei senza reazione alcuna.
Moralisti di varia fatta che hanno dato bastonate a destra e a manca spesso a sproposito, mentre l’attenzione gossippara fa parte della nostra quotidianità e questo era un boccone particolarmente succulento e da commenti incrociati con risate annesse, meglio di certe giaculatorie. Ammiro chi se n’è tenuto fuori, ma per favore non impicchiamo chi si è interessato a quello che è un fatto di costume, che ha risvolti interessanti perché l’amplificazione via Social offre un’interessante visione…sociologica di come ormai siamo appesi al cellulare “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, come dice a proposito la nota formula nuziale.
Giuliano Ferrara sul Foglio ha illuminato la scena meglio di quel telefonino che dava luce al povero cornuto, come si è autodefinito, anche se poi lei - intervistata ore dopo, quando aveva ripreso la favella - ha lasciato intendere che fedifrago era stato anche lui.
Ferrara: “Non è così triste come si dice la storia di Massimo Segre e Cristina Seymandi. La si può considerare un apologo scherzoso sui rischi del bovarismo più sfrenato, il preadulterio. Qualcuno doveva pur fissare il concetto popolarizzato in una campagna contro l’abbandono degli animali: non abbandonare chi ti ama. Vale anche per i cristiani. Sono tutte fantasie, certo, queste del farsela con un altro o con un’altra, e si ha il diritto femminile di considerarle una violenza privata, bolli carte e tribunali, ma sono anche testimonianze festaiole del fatto che alla reciproca fedeltà in amore è possibile tenere il giusto. Gli invitati si sono lamentati per essere stati coinvolti in una sceneggiata che in fondo, pensano, non li riguardava. Hanno le loro ragioni, forse non li riguardava”.
Prosegue il Direttore che ha acume su tutti i temi: ”Ma chi non era invitato e ha solo sentito e visto via media e social non può umanamente non aver sorriso di quella promessa di matrimonio saltata, della sua squisita inattualità, con omelia in cui il presunto fedifrago anticipato, addirittura una femmina, e bella, e libera, è invitato a farsi una vacanza a Mykonos, non già con il commercialista destinato a questo da progetti di nozze, ma con il suo avvocato presunto moroso. Perché amare vuol dire volere il bene dell’altro, ha detto il promesso in un gustoso intermezzo oratorio. Inutile arrabbiarsi o moraleggiare. Tutto sommato, meglio prima che dopo, con più carte più bolli e magari dei pupi in ecoansia da scoppiamento della famiglia”.
Mi fermo qui nella citazione.
Resta il fatto, scoperto dopo, di come l’intrigo amoroso abbia anche singolari vicende imprenditoriali e economiche, che incrociano lui e lei.
Tant’è che lei l’indomani è andata a lavorare nella società in comune e lui ha già preannunciato che potrebbe essere che, a baruffa finita, si ritroveranno a collaborare in qualche modo, ma basta cuoricini, solo cuori infranti.
Le puntate future avranno meno clamore e l’ovattata borghesia torinese fra spiagge e montagne avrà da dire nel chiacchiericcio pettegolo per un po’ di tempo, aspettando che i mancati sposi trovino altre storie meno glamour e finiscano nel dimenticatoio. Come forse (la paternità non è certa) diceva Andy Warhol: “Prima o poi tutti hanno il loro quarto d'ora di notorietà”.
Divertente, infine e a futura memoria, il commento di Evelina Christillin, torinese si stirpe valdostana, quando dice che quanto è avvenuto dimostra che i piemontesi non sono - come da nomea - falsi e cortesi…
 

Saper sorridere

«Una risata vi seppellirà»: è questa una frase dell’ottocento attribuita all’anarchico Michail Bakunin, personaggio storico interessante.
Si tratta di una frase, quella iniziale, che mi ha sempre divertito per la sua carica beffarda, essendo nel secolo successivo espressione scherzosa della parte buona del famoso Sessantotto, che la scrisse sui muri. La ricordo riecheggiare anche nel 1977, quando si creò un nuovo Movimento giovanile, infine sprofondato nei terribili Anni di Piombo, in cui c’era poco da ridere.
Già, c’è poco da ridere, purtroppo, anche oggi. Viviamo tempi incerti e devo riconoscere che mi ero convinto che il post pandemia sarebbe stata un’epoca piena di joie de vivre, ma poi è sopravvenuta la guerra e quella instabilità di vario genere che si è creata come conseguenza. In contemporanea come con un flash improvviso che illumini la scena è cresciuta la consapevolezza sul cambiamento climatico, questione già ben nota da tempo e la cui drammatizzazione (cosa diversa dal prendere sul serio il tema, come va fatto) ha creato una situazione di incertezza e persino il neologismo, che spero sparisca presto, “ecoansia”.
Credo lo si veda in maniera plastica in quest’estate, preannunciata da record, e che invece sembra in parte languire proprio per il clima di incertezze con l’inflazione che morde e – mi sia permessa osservarlo – con un Governo che macina provvedimenti che sembrano incoerenti gli uni con gli altri e questo genera quella sfiducia che si deposita come una polvere sulla vita quotidiana. Lo dico senza logica di schieramento, ritenendo da sempre che chi vince le elezioni viene scelto dai cittadini e dunque non solo è legittimo ma è del tutto doveroso che si assuma le sue responsabilità, governando.
La verità, anch’essa triste da dire, è che non ci si improvvisa e troppi dilettanti e talvolta solo militanti hanno preso leve di potere importanti non essendo sempre all’altezza delle aspettative che si erano create e questo tornerà indietro come un boomerang. Ma avverrà nel vuoto della politica italiana con un PD alla ricerca di sé stesso con una Elly Schlein che sembra arrivata dalla Luna e un Centro diviso in due parti destinate ad allontanarsi. Non parliamo del grillismo contiano, che ha ancora buone percentuali nei sondaggi e questo lascia del tutto sgomenti.
In autunno si capirà meglio lo scenario nella sua complessità e devo dire che invidio chi ha grandi ricette per il futuro. Per quel che mi riguarda spero solo che il processo di integrazione degli autonomisti valdostani faccia il giusto cammino prefigurato, perché mi sembra una scelta necessaria, strettamente collegata al futuro della nostra Autonomia speciale. Lo ribadisco in modo spoglio da ogni retorica, perché deve avvenire in modo semplice e naturale senza attorcigliamenti che farebbero perdere tempo e credibilità.
E il sorriso? Quello credo che sia importante mantenerlo. In momenti complessi e con sguardi all’avvenire con molte inquietudini l’idea di piombare nella cupezza non mi appartiene. Sarà per carattere o frutto della mia educazione, ma ho sempre ritenuto che vedere nero non serva a niente.
C’è una bella poesia di un poeta francese, di cui consiglio di leggere la vita coraggiosa e generosa, che vorrei proporre:

Un sourire ne coûte rien et produit beaucoup,
Il enrichit celui qui le reçoit sans appauvrir celui qui le donne,
Il ne dure qu'un instant, mais son souvenir est parfois éternel,
Personne n'est assez riche pour s'en passer,
Personne n'est assez pauvre pour ne pas le mériter,
Il crée le bonheur au foyer, soutient les affaires,
Il est le signe sensible de l'amitié,
Un sourire donne du repos à l'être fatigué,
Donne du courage au plus découragé
Il ne peut ni s'acheter, ni se prêter, ni se voler,
Car c'est une chose qui n'a de valeur qu'à partir du moment où il se donne.
Et si toutefois, vous rencontrez quelqu'un qui ne sait plus sourire,
Soyez généreux donnez-lui le vôtre,
Car nul n'a autant besoin d'un sourire
Que celui qui ne peut en donner aux autres.
 
Raoul Follereau (1903-1977)

Il fumo che inquina

Sono della generazione che ha vissuto attorniato dal fumo di sigaretta, che era non solo un vizio ma uno statuts symbol negli anni Sessanta e Settanta.
I miei genitori, specie papà che era un vero tabagista, fumavano in tutte le circostanze anche con noi figli presenti. Si fumava al ristorante, al cinema, nelle riunioni politiche e - in senso più vasto - dappertutto.
Il 10 gennaio 2005, entrava in vigore la legge Sirchia (dal nome del ministro della Salute che la propose), che vietò il fumo nei luoghi pubblici chiusi. Uno choc cui i fumatori reagirono bene e che segnò un’importante discontinuità a vantaggio di chi, come me, non è mai stato fumatore, ma ha egualmente ingollato un sacco di fumo passivo.
Ora, dopo anni di calo del numero dei fumatori, si assiste ad una crescita.
Vi è un visibile riavvicinamento dei giovani alle sigarette (anche se l’identikit medio dei fumatore italiano è un adulto maschio di mezza età). Le donne, poi, che hanno iniziato a fumare molto dopo gli uomini per una serie di ragioni sociali, continuano a farlo e lo si vede nella quotidianità. Si è aggiunta ora sigaretta elettronica con miscugli fruttati e aromatici che usano anche i giovanissimi e sono oggettivamente anticamera al fumo di sigaretta.
Leggevo in queste ore su Le Monde dei danni ambientali dei mozziconi di sigarette. Ne vedo ogni giorno dappertutto e li vedo abbandonare senza alcun scrupolo da persone che li gettano ovunque.
Scrive Stéphane Mandard sul caso francese: ”En France, 23,5 milliards de mégots sont jetés chaque année dans l’espace public, selon le ministère de la transition écologique. A Paris, environ 350 tonnes sont ramassées tous les ans. Une pollution qui a un coût pour les collectivités, estimé à 100 millions d’euros par an, mais dont les conséquences sur l’environnement restent largement méconnues”.
Poi spiega in dettaglio e immagino che in Italia sia lo stesso: ”Seul un Français sur quatre sait que les filtres de cigarette sont en plastique (acétate de cellulose) et pas en ouate (coton), comme le croit un Français sur deux, selon une enquête réalisée en 2022 par l’institut BVA pour l’association ACT-Alliance contre le tabac, qui fédère une vingtaine d’organisations dont la Ligue contre le cancer. Un fumeur sur cinq pense même que les cigarettes, qu’elles soient classiques ou électroniques, sont biodégradables. « La dégradation d’un mégot peut prendre jusqu’à douze ans », avertit un panneau sur la très fréquentée jetée d’Arcachon”.
È un Comune francese sull’Oceano dove si è sviluppata una campagna, perché un mozzicone lasciato in mare è ancora peggio: ”Au contact de l’eau, le filtre se dégrade en micro- et nanoplastiques. Un mégot de cigarette peut contaminer jusqu’à 500 litres d’eau, rappelle le ministère de la transition écologique. Et pas seulement en particules de plastique. Il relargue aussi dans l’environnement des milliers de substances chimiques toxiques : la nicotine en premier lieu, mais également des métaux lourds (arsenic, mercure, plomb) ou encore de l’ammoniac".
Una vera schifezza che inquina anche le nostre montagne. Il dato mondiale fa paura: ogni anno vengono gettati a terra oltre 766’000 tonnellate di mozziconi. I miliardi di sigarette che vengono consumate dai fumatori in tutto il mondo.
Ma anche la sigaretta elettronica fa la sua parte: ”Dans le viseur des associations figurent également les cigarettes électroniques et leur version à usage unique, les fameuses puffs : très prisées des adolescents avec leurs tubes colorés et leurs parfums cola, fraise ou bubble gum, elles sont jetées une fois la centaine de bouffées disponibles consommée. « Elles sont de plus en plus retrouvées lors des collectes organisées sur les plages », témoigne Marion Catellin, la directrice d’ACT. Composées de plastique, de batteries en lithium et contenant elles aussi nicotine et métaux lourds (mercure, plomb, brome), « elles représentent un risque encore plus grand pour l’environnement », estime Marion Catellin”.
Bisognerà regolamentare meglio la materia.
L’Italia è, intanto in ritardo sulle cicche di sigaretta, mentre l’esempio francese è interessante: ”Concernant les mégots de cigarette, la France est en avance sur ses voisins. Elle a été la première à transposer la directive européenne sur les plastiques à usage unique qui contraint les producteurs de tabac à prendre en charge les coûts liés au nettoyage et au traitement des mégots. Une filière « pollueur-payeur » a été créée en août 2021 avec la mise en place d’un éco-organisme (Alcome) regroupant producteurs et distributeurs. Elle est censée verser 80 millions d’euros par an aux collectivités pour financer le ramassage et le nettoyage.(…)
Le gouvernement lui a assigné l’objectif de réduire « au minimum de 40 % » d’ici à 2027 le volume de mégots jetés dans l’espace publique et de 20 % entre 2022 et 2023”.
Per ora le cose non vanno bene e apposite campagne informative verranno proposte. In Italia si scelse con una legge del 2015 la strada delle multe per chi colto a gettare a terra i mozziconi, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria, il cui importo può andare da un minimo di 60 euro ad un massimo di 300 euro. Immagino che nei fatti i fumatori sinora puniti si possano contare sulle dita di una mano…
Così come è largamente lettera morta la parte della stessa legge, che prevedeva che i Comuni predisponessero “nelle strade, nei parchi e nei luoghi di aggregazione sociale di appositi raccoglitori dei mozziconi dei prodotti da fumo”.

I molti dubbi sull’Unesco

Confesso le mie colpe: anni fa e ancora di recente ho perorato la causa del riconoscimento del popolo walser come patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco con incontri vari. Confesso la mia delusione nel non capire certi meccanismi, che fanno sì che ultimi arrivati nelle richieste schizzino in cima e taglino il traguardo. Lo si è visto anche nella trafila sinora infruttuosa della candidatura del Monte Bianco, tanto da rendermi sempre più scettico.
Intanto, Unesco è diventato un erogatore di riconoscimenti di vario genere, oltre a patrimonio mondiale, tipo il registro della Memoria del mondo, il patrimonio sommerso dell’umanità, il programma l’Uomo e la Biosfera
L’Unesco ha fino ad oggi riconosciuto un totale di 1157 siti (900 siti culturali, 218 naturali e 39 misti) presenti in 167 Paesi del mondo. Vi invito a scorrere l’elenco con riconoscimenti che stupiscono o fanno ridere.
Ecco perché ho letto con interesse due articoli scritti sul Corriere da due personalità veneziane, miei vecchi amici: Renato Brunetta e Paolo Costa sulle recenti minacciose denunce sul futuro della città lagunare espresse da Unesco, dopo visita apposita.
Brunetta: « I tre ispettori che hanno riferito agli uffici dell’Unesco, in una visita di quattro giorni hanno visto e capito tutto, specialmente dove noi italiani abbiamo sbagliato. Hanno dettato 50 raccomandazioni (oltre 12 per ogni giorno di visita) all’Italia al fine di mantenere l’«Eccezionale Valore Universale» del sito.
L’Italia ha risposto, con pazienza, a tutte le 50 raccomandazioni. Le abbiamo prima discusse con i «portatori di interesse», con organismi scientifici e associazioni. E il sindaco si è prodigato in incontri con i governi che si sono succeduti. Ma non è bastato. Già il titolo del documento che dovevamo consegnare all’Unesco non ci piaceva: «stato della conservazione del sito». Per la Costituzione, la Repubblica Italiana «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», e la «tutela» è molto di più della «conservazione».
Venezia è bene tutelata, dalle azioni che il Paese ha messo in campo, ma soprattutto dalla passione dei suoi abitanti e degli italiani tutti. È l’amore per Venezia, condiviso da milioni di persone nel mondo, il suo principale «Eccezionale Valore Universale». Quindi no, non la chiuderemo alle visite: il flusso dei visitatori, anche grazie alle nuove tecnologie, sarà regolato, non interrotto.
Venezia nasce sul mare e con il mare convive. Se il livello del mare sale, come abbiamo sempre fatto, ci adatteremo. Il flusso della marea viene regolato dal Mose, non è stato permanentemente interrotto. Grazie al Mose siamo la città costiera più sicura del Mediterraneo almeno per i prossimi 80 anni. L’ingresso delle navi a Venezia viene regolato dalle necessità ambientali e sono stati eliminati gli eccessi (le grandi navi passeggeri), ma non chiuderemo il porto, che continuerà a generare posti di lavoro e a sostenere l’economia. L’industria di Porto Marghera si è già adeguata alle regole ambientali e, mentre rimediamo ai danni del passato, stiamo attraendo industrie «verdi». Venezia oggi vuole raddoppiare il proprio già eccellente polo universitario, per contribuire alla rigenerazione sociale ed essere fucina di nuovi talenti, una «città campus», moderna e vitale.
Il documento Unesco dice che non è chiara la strategia complessiva per Venezia: evidentemente non l’ha compresa. La «governance» di Venezia da sempre è materia complessa, e coinvolge non solo il governo e le sue articolazioni, ma anche il Parlamento, il consiglio regionale, i consigli comunali, i cittadini insomma. Vengono sempre ascoltate le voci delle istituzioni internazionali, e tutto viene analizzato e dibattuto alla luce del sole. Tuttavia, l’Unesco chiede, con ripetuta arroganza, che sia il suo ufficio di Parigi ad avere l’ultima parola sulle scelte operate. Non sarà così, questo non rientra nel mandato della Convenzione del 1972, della quale l’Italia fu tra i promotori, come è oggi tra gli Stati membri più impegnati a sostenere le attività dell’Unesco”.
Brunetta ha ragione e così Paolo Costa sul Corriere Veneto: ”Ci risiamo. Qualche mese prima della 45esima riunione del Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Unesco, che quest’anno si riunirà a Riyadh (Arabia) in settembre, viene messa in agenda la proposta di iscrivere Venezia nella Lista dei siti «in pericolo». Non diversamente dal 2021, prima della 44a riunione prevista a Fuzhou (Cina), ma tenutasi online, dal 2019, prima della 43esima di Baku (Azerbajan), e magari anche prima. 
Questa volta Venezia dovrebbe andare dietro la lavagna per non aver seguito le indicazioni nel contenimento del turismo di massa, nel perseguimento di progetti di sviluppo, e per non meglio specificate inadempienze relative ai «cambiamenti climatici». Nessuna cognizione del fatto che, forse, il turismo di massa prospera proprio per la strategia Unesco: conservare le pietre frutto del «genio dei padri» per farle visitare a soddisfazione della «curiosità dei foresti»; eppure dovrebbe esser chiaro che il bollino Unesco viene cercato e ottenuto - da ultimo, nel Veneto, dalle Colline del Prosecco e da Padova Picta - per aumentare i visitatori. Conservazione cieca dei monumenti e via libera ai turisti che in destinazioni come Venezia viene perseguita dall’Unesco anche impedendo ogni “sviluppo” che, creando alternative all’economia turistica, mantenga viva la comunità insediata”.
Costa, già sindaco di Venezia e mio collega in Europa, cita in modo puntuale tutte le iniziative che non piacciono a Unesco, che invece sono frutto di progettualità decise e ponderate dagli esponenti eletti democraticamente per salvaguardare Venezia e consentire la vitalità del tessuto economico e sociale. Per poi concludere: ”In questa condizione la cosa migliore da fare – lo scrivo dopo averci pensato a lungo - è che Venezia si auto escluda dalla Lista del patrimonio mondiale gestita dall’Unesco. Senza polemica. Almeno temporaneamente. Per il bene di Venezia e per quello dell’Unesco. Venezia non ha bisogno del bollino Unesco per attirare visitatori. Non diminuirà il suo «eccezionale valore culturale» perché questo non verrà più certificato dagli ispettori”.
Che Unesco ragioni nella sua espansione autoconservativa che crea perplessità e forse ha ragione chi incomincia a ragionare su costi e benefici di questa organizzazione internazionale.
Lo dice con la solita foga un altro veneziano mio amico, Massimo Cacciari, già sindaco anche lui di Venezia: "L'Unesco è uno degli enti inutili più costosi sulla faccia della Terra... Sparano giudizi senza conoscere e senza sapere, procedono decretando pareri a destra e a manca, di cui è bene disinteressarsi: sono una baracca di 'mangiapane a tradimento', non tirano fuori un soldo, non danno un finanziamento per interventi reali, sanno solo decretare... Come se Venezia avesse bisogno dell'Unesco per essere un bene dell'Umanità!".

Lévy e l’Africa

Seguo da tempo quanto scrive Bernard-Henri Lévy su Le Point, nel solco di una lunga storia di mio interesse per questo filosofo, scrittore, giornalista sin dai tempi del Liceo, quando era uno dei nouveaux philosophes, gruppo che mi incuriosiva per l’anticonformismo e per la capacità di comunicazione.
Nel filone della difesa dei diritti umani Lévy si è sempre distinto e in questi mesi si batte a favore dell’Ucraina, dimostrando disgusto - che condivido - per chi ha il coraggio di difendere Putin e la Russia.
Questa settimana se la piglia giustamente con quei capi di Stato africani volati già tempo fa e di nuovo in queste ore a San Pietroburgo a baciare la ciabatta al dittatore russo, mentre in Niger folle in piazza acclamano i militari golpisti e esaltano la Russia che li spalleggia.
Così scrive: “Cher amis d’Afrique. J’ai connu le Rwanda, au temps du génocide des Tutsis. J’ai couvert les guerres d’Angola, d’Érythrée, du Burundi. Je me suis mobilisé pour les génocidés du Darfour, les massacrés des monts Nouba, les chrétiens persécutés du Nigeria, les militants anti-apartheid d’Afrique du Sud.
Je me suis tenu aux côtés du peuple algérien quand les groupes islamistes armés y tuaient comme on déboise et j’ai soutenu l’aspiration à la démocratie de la société civile libyenne.
Comme j’aime, avant tout, la vie, j’ai aussi de beaux souvenirs d’une Afrique vivante et heureuse que j’ai arpentée, à différentes époques de mon existence, d’Abidjan à Dakar, de Lusaka à Nairobi.
Tout cela pour dire que les lignes qui suivent sont inspirées par l’amitié, le respect et le sentiment d’avoir, chaque fois que je l’ai pu, fait écho à vos justes combats.
Mais il y a, sur une partie de votre continent et, en particulier, dans sa zone subsaharienne, un aveuglement étrange, navrant et, à terme, tragique quant aux enjeux de cette guerre en Ukraine qui est l’événement géopolitique majeur où se joue notre destin commun”.
Poi ricorda: “J’étais à Odessa lorsque sont arrivés à Saint-Pétersbourg, pour le deuxième sommet Afrique-Russie, dix-sept de vos hauts dirigeants.
J’ai entendu l’un d’eux, président du Burundi, exprimer sa préoccupation face aux «ingérences occidentales» et à l’« iniquité » des « sanctions infligées à la Russie ».
J’ai observé Poutine qui avait peine à croire, lui-même, à la divine surprise de ce blanc-seing donné à sa guerre par un représentant de ce que Frantz Fanon appelait les damnés de la terre.
J’ai vu la stupeur des Odessites face au cynisme d’un homme qui venait, d’une main, en bombardant leur ville, de couper le corridor qui achemine vers vos pays, directement ou via l’Europe, 15 millions de tonnes de blé et de maïs par an et qui, de l’autre, vous faisait l’aumône de « 25 000 à 50 000 tonnes » qui ne viendraient, précisait-il, que « d’ici à trois ou quatre mois ».
Et j’ai été, moi-même, sidéré de constater que cette mascarade n’ébranlait pas outre mesure la position qui est celle de nombre de vos pays, depuis le premier vote des sanctions contre la Russie, à l’ONU, le 2 mars 2022 : au mieux, abstention et neutralité ; au pire, alliance avec le régime assassin”.
Più avanti Lévy li inchioda alla loro responsabilità: “Votre position est suicidaire. Car, en refusant de voir la réalité et en acceptant les mensonges de la propagande poutinienne, vous vous liez à un homme qui n’est pas votre ami.
Faut-il vous redire que la Russie pille, en ce moment même, l’or soudanais, l’uranium nigérien, le coton burkinabé ?
Faut-il vous rappeler comment, au plus fort de la crise du Covid, elle vous vendait au prix fort les rebuts de ses mauvais vaccins ?
Et que dire de la façon dont elle ridiculise votre jeunesse quand elle invite les jeunes de l’ANC sud-africaine à « observer » les pseudo référendums d’annexion des territoires pris à l’Ukraine et qu’elle leur fait saluer ces « formidables et merveilleux scrutins » ?
Et le groupe Wagner, responsable de crimes de masse en République centrafricaine, de tortures sans nombre au Mali et, peut-être, du coup d’État, au Niger, contre le gouvernement démocratiquement élu du président Bazoum, au nom de quelle macabre logique peut-il être vu comme l’instrument d’un « nouvel ordre multipolaire » aidant l’Afrique à se débarrasser des « séquelles du colonialisme » ?
Non, amis d’Afrique, la Russie n’est pas votre amie. Dans ceux de vos pays qui lui ouvrent les bras, elle reproduit ce qu’ont fait de plus atroce les colonisateurs français, anglais, belges, portugais ou allemands que vous avez chassés.
Et il y a, dans sa façon de pourfendre à grand renfort de rhétorique anti-occidentale l’impérialisme d’hier, une diversion grossière dont vous ne pouvez être dupes car elle n’a d’autre effet que d’occulter l’impérialisme, bien réel, qu’elle pratique aujourd’hui.
J’ajoute enfin, amis d’Afrique, que cet aveuglement est indigne de vous et de votre histoire.
Et l’on ne peut pas avoir mené tant de luttes de libération et tourner le dos à un pays, l’Ukraine, qui prend le même chemin et secoue ses chaînes à son tour.
Puisse le souvenir de vos illustres pionniers vous inspirer. Puissent les mânes des pères fondateurs de vos libres nations vous rappeler à votre propre mémoire.
La conclusione: “L’Afrique d’aujourd’hui n’est plus ni l’« Afrique fantôme » ni l’« Afrique ambiguë » de nos grands africanistes d’autrefois. Elle est le continent du futur et a, sur la scène du monde, des responsabilités historiques. Sa place est aux côtés des Ukrainiens”.

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