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11 lug 2022

La prevalenza del mugugno

di Luciano Caveri

«Ogni giorno della vita è unico, ma abbiamo bisogno che accada qualcosa che ci tocchi per ricordarcelo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l'essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore». (Haruki Murakami) Ho già scritto più volte di come la pandemia ci abbia resi peggiori. I difetti di ciascuno - ed io mi occupo anzitutto dei miei - si sono accentuati, come se l'amara lezione, condita da mille altri problemi che ci angustiano, non fosse servita a guardare il mondo con occhi migliori, come auspicato nella citazione all'inizio. Eppure ci sarebbero state tutte le buone ragioni per fare di necessità virtù, pur depurata dal rischio retorico dei tempi difficili. In genere le difficoltà e le paure dovrebbero aggregare, mentre il seme della divisione sembra essere prevalente. Chi vede il mondo dal suo interesse per la politica, come il sottoscritto, passa il tempo ormai a stupirsi del germe della litigiosità, spesso davvero fine a sé stessa.

Quel che trovo di questi tempi francamente insopportabile è la carica rivendicativa, astiosa e martellante, che si respira un po' ovunque, creando difficoltà ed asperità nella vita comune. Non fa eccezione chi si trovi in politica ad operare scelte, com'è proprio dovere fare, e qualunque strada si intraprenda si accorge che a farsi vivi sono ormai solo più i contrari per partito preso, i professionisti del "no", i cavalcatori del dissenso. Più in generale - fatti salvi dunque i fenomeni ormai patologici appena descritti - esiste un'attitudine, che trovo deprimente, che ruota attorno a due verbi che fotografano meglio di qualunque istantanea quanto vorrei dire. Il primo viene dal genovese, lingua bellissima, che è stata esaltata dal grande Fabrizio De André, ed è "mugugnàre", che sarebbe "emettere sordi brontolii di scontento e risentimento". E' facilmente comprensibile che si tratto di una onomatopea, cioè un fenomeno che si produce quando i suoni di una parola descrivono o suggeriscono acusticamente l'oggetto o l'azione che significano. Possiamo dire che fa il pari con "brontolàre", che sarebbe "esprimere risentimento a bassa voce, anch'essa una parola imitativa che riproduce il rumore cupo della voce umana e del tuono". Questo è quanto registro come rumore di fondo di questi tempi. Ho già scritto tante volte su chi pratica lo scaricabarile, su chi non si assume le proprie responsabilità, su chi cavalca la protesta senza mai fare proposte su chi ritiene il senso del dovere come qualcosa di sorpassato. Ma anche il mugugno e il brontolio non scherzano affatto e sono diventati fenomeni ordinari e non straordinari. Mi domando naturalmente a chi giovi questa strisciante insoddisfazione che avvelena l'ambiente ed i rapporti umani. Ribadisco ogni volta che appartengo alla categoria stolida degli ottimisti, che cercano in ogni cosa il lato buono, anche quando c'è poco da stare allegri o speranzosi. Credo che avere questo spirito sia una benedizione, che mi rende tuttavia ancora più insopportabile certa deriva nei rapporti umani e in quelli professionali. Ma nello scriverlo non vorrei che mi si desse infine del "barbottone", non mi piace mugugnare...