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26 feb 2022

Elogio della normalità

di Luciano Caveri

Il Carnevale, per i posti dove lo si festeggia, non è una data sul calendario, ma un appuntamento che - pur mutevole, perché segue la Pasqua che scende e che sale - rientra nei ritmi della vita. Ho preciso ricordo del 2020 e di quei giorni di fine febbraio in cui goffamente si svolse il Carnevale, che per me, avendoci fatto pure il personaggio del Conte d'Introd, è e resta quello Storico di Verrès. Dal dopoguerra i paesani si sono rifatti ad un episodio quattrocentesco di una Contessa ribelle, Catherine de Challant, che rivendicò il feudo dopo la morte del padre ma fu sconfitta e si impose la legge Salica che impediva alle donne la successione. I festeggiamenti ruotano attorno alla sua figura, ricreando un pezzo di tardo Medioevo. Dicevo di quella edizione, che sopravvisse fra mille timori alla pandemia nascente, che invece cancellò il 2021 e quest'anno prevede festeggiamenti ridotti nelle date canoniche ed un rinvio a un'edizione primaverile. Roba luttuosa per un paese, che in quei giorni gode della... libertà carnevalesca.

Perché ci ragiono? Perché è un esempio, pur piccolo, di quanto ci manchi la normalità. "Normalità" è una parola recente (viene datata in italiano dal 1965) e risultava importata dal francese "normalité". Ovviamente deriva dalla parola "normale", la cui etimologia viene dal latino "norma", sostantivo che indica la "squadra" (detta anche "regola"), lo strumento utile a misurare gli angoli retti, da cui "normalis=perpendicolare, retto". Oggi - e specie in epoca dì pandemia - "norma" passa attraverso leggi, "Dpcm", circolari e altri generi. La "Treccani" così descrive la normalità: "Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali". Il suo contrario sono la straordinarietà, l'eccezionalità. Quello stato, per dire, che dovrebbe proprio caratterizzare il Carnevale... Ora, dopo due anni di "eccezionalità", pur con qualche parentesi meno acuta ed altre più drammatiche, mai come ora il peso degli eventi e i suoi plurimi riflessi pretendono un ritorno alla normalità per riprenderci quei pezzi di vita forzatamente modificati. So bene che non può essere una scelta soggettiva e neppure la grottesca recita di chi ha sostenuto che tutto fosse una specie di farsa, ma davvero penso a quanto sia da rimpiangere quella routine che spesso ci pareva noiosa e magari ci stava pure stretta. Ed invece oggi rimpiangiamo molto, "alla Gozzano" per citare il poeta, anche «le buone cose di pessimo gusto» per catalogare scherzosamente quanto ci imponevamo nel tran tran della nostra vita e che scopriamo mancarci, costretti farne a meno come siamo stati. Certo, bisognerà che cosa spontaneamente risorgerà dalle ceneri di tante cose scomparse dal nostro orizzonte e non so se ha ragione chi dice che non tutto tornerà come prima. Personalmente credo che le ferite saranno destinate a rimarginarsi e forse l'unica traccia che resterà indelebile nella cerchia delle nostre conoscenze sono i comportamenti delle persone che conoscevamo e le reazioni che l'emergenza ha fatto emergere fra razionalità e irrazionalità.