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22 feb 2022

Il destino ambiguo dei referendum

di Luciano Caveri

Come sempre - ed è giusto dirlo - bisognerà leggere le sentenze con cui la Corte Costituzionale ha cassato i referendum su eutanasia, cannabis legale e responsabilità civile dei giudici, accettando però gli altri referendum sulla Giustizia. I primi due respinti al mittente - ha detto in sostanza il presidente della Consulta Giuliano Amato - erano scritti male e si sarebbero prestati a distorsioni nel loro uso, se accolti. Il terzo è stato spiegato nel "niet" della Consulta in modo abbastanza fumoso, mentre gli altri in materia giudiziaria saranno probabilmente disinnescati dal Parlamento. I referendum su eutanasia e Giustizia li avevo firmati e dunque mi spiace e di conseguenza approfondirò le ragioni che hanno portato alle bocciature appena citate.

Poco tempo fa ricordai le tappe dei referendum, partendo dal lontano 1946, quando si scelse fra Repubblica e Monarchia. Evoco poi - sempre sotto il profilo istituzionale - il referendum consultivo del 1989 sulla nascita ufficiale dell'Unione Europea. Ci sono poi stati referendum su importanti riforme costituzionali con un voto favorevole nel 2001 che riguardava il regionalismo e invece seguirono due no, uno nel 2006 sulla riforma Berlusconi e l'altro nel 2016 sulla riforma Boschi-Renzi. Un altro voto a favore è venuto nel 2020 con la riduzione del numero dei parlamentari: una stupidaggine senza eguali non coordinata con leggi elettorali e regolamenti parlamentari e questo creerà un bel caos dopo le Politiche del 2023. Il referendum abrogativo ha invece cambiato l'Italia sotto il profilo dei diritti civili con il successo dei favorevoli al divorzio nel 1974 e dell'aborto nel 1981 per merito dei Radicali, grandi utilizzatori dello strumento referendario e spesso esagerarono con un mazzo di schede per votare che svuotarono la forza referendaria. A fine anni Novanta, inizio e fine anni Duemila ci furono referendum sul sistema elettorale, anch'essi alla fine non influenzarono più di tanto la materia in mano alle Camere, così come la mancanza del quorum bocciò negli anni successivi - sintomo di stanchezza nell'abuso da referendum - questioni riguardanti la Giustizia, la fecondazione assistita e l'estrazione di idrocarburi in mare. Ora il referendum sembrava rinascere dalle sue stesse ceneri, ma forse a conti fatti si è trattato di un fuoco di paglia. Quel che si registra semmai è l'incapacità del Parlamento, sempre più svuotato di poteri e di ruolo, di fare il suo lavoro principale: approvare le leggi in modo utile e tempestivo (spesso su certi temi lo ha chiesto la stessa Consulta senza esito). I referendum diventano un piede di porco per forzare la situazione e il rischio di un loro uso strumentale rischia di svilirne il ruolo. Quel che è certo è che la democrazia rappresentativa, se non si troverà il mondo per accelerare le procedure e sveltire i tempi, rischia di essere svilita nell'epoca in cui demagogia e populismo restano forti o meglio hanno inquinato le sorgenti. Una maggior efficienza delle Assemblee elettive ed il coraggio di trattare argomenti difficili, in un'epoca in cui su temi difficili si sceglie l'ambiguità per non dispiacere a nessuno, sono la chiave di volta per evitare di essere travolti dall'idea, mai morta né a Roma né ad Aosta, dell'"uomo solo al comando". La democrazia è ben più complessa e chi la banalizza fa solo del male. Chi evoca il sistema elvetico come miracolistico con referendum a tutto gas si dimentica come in quel caso il sistema sia complesso e ragionevole e vada ben al di là dell'utilizzo rozzo e divisivo che se ne fa in Italia. Ma la Svizzera ha il federalismo nel "Dna", l'Italia resta un Repubblica centralista.