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06 mag 2018

Guardando al Friuli-Venezia Giulia

di Luciano Caveri

Prima era arrivato il dato elettorale di una piccola Regione come il Molise, ora a battere il ferro sin che è caldo, è stato l'esito del voto regionale in Friuli-Venezia Giulia, l'ultima nata delle Regioni Autonome, appiccicando due realtà molto diverse come sono le culture giuliana e friulana, cui si somma la significativa minoranza di lingua slovena. E' una realtà che conosco abbastanza bene, e non solo perché mi sono occupato nel tempo di Autonomie speciali e Minoranze linguistiche, ma per parecchi legami di amicizia coltivati in diversi ambienti, cercando di capire di più di questa situazione geopolitica dall'altra parte dell'arco alpino, dove le montagne finiscono nell'Adriatico riallacciandosi poi con le culture dei Balcani, anch'esse in larga parte collegabili alla multiforme logica mitteleuropea. Ho avuto la fortuna di conoscere una personalità come Enzo Bettiza e di leggere Claudio Magris e Boris Pahor per capire qualche cosa di più, senza dimenticare Carlo Sgorlon.

Mi piace questa logica antica e civilissima, multiforme e assieme unitaria, che ricorda come siano flebili i confini, anche se largamente insanguinati come sono quelli del Nord-Est con guerre terribili come la Prima Guerra mondiale, con vicende tragiche come le foibe e le conseguenze dello spappolamento dell'ex Jugoslavia con le sue stragi e oggi l'affermarsi nell'area degli islamisti della Bosnia-Erzegovina. Chiudo la premessa, forse troppo lunga, e vengo alle elezioni, un test importante che si incrociava con le caotiche vicende della politica italiana con un Parlamento neoletto senza una maggioranza chiara uscita dalle urne ed i "Cinque Stelle" che, per raggiungere il potere, hanno giocato la partita - per ora perdente - dei due forni. Da una parte il corteggiamento fallito con la Lega destrorsa di Matteo Salvini, con le speranza che mollasse Silvio Berlusconi, dall'altra il successivo tentativo di accordo con il Partito Democratico, stroncato da Matteo Renzi che ha voluto ribadire - non nella sede di partito ma in televisione, da Fabio Fazio... - di essere il Capo. Un Capo su cui ricade una sconfitta cocente in quel Friuli-Venezia Giulia governata dalla piddina Debora Serracchiani, dove invece a stravincere, oltre al mostruoso partito degli astensionisti che copre più della metà degli elettori, è stata la Lega con il presidente eletto e diventando il primo partito uscito dalle urne. Assieme a Forza Italia il centro-destra spopola, ma soprattutto il "Movimento Cinque Stelle" - peggio che in Molise - prende una scoppola micidiale, dimostrando che non si può cavalcare la protesta ed essere poi pronti a governare a Roma con chiunque pur di governare. Tramonta così la stella lucente, che diventa per ora cadente, di Luigi Di Maio che fa perdere credibilità al suo Movimento e la Lega conquista una nuova Regione del Nord, mancante all'appello. Paradosso che ciò avvenga quando la Lega diventa "sovranista" e non più autonomista come diceva di essere anni fa, esempio di macroscopica contraddizione talmente manifesta da lasciare esterrefatti. Ma è questa grande confusione il segno dei tempi in cui ormai tutto diventa il suo contrario e viceversa, mancando - in primis ai cittadini - il conforto di una bussola che indichi con certezza le direzioni. Così la gran parte degli elettori abbandona il suffragio universale e chi vota segue umori mutevoli, dando vittorie e sconfitte in breve spazio di tempo. Chissà in Valle d'Aosta cosa avverrà fra Politiche e Regionali e quale scenario ci sarà dopo il 20 maggio, data delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Valle. Spero che ci sia una logica di ragionato rinnovamento, che io penso sia incarnato da MOUV' e non da proposte che replicano il passato più remoto o quello più prossimo, per non dire di competitori d'importazione, per l'occasione pittati di rosso e di nero, ma basta scrostare la vernice per vedere che cosa ci sia davvero sotto la superficie solo apparente.