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14 lug 2017

La scrivania

di Luciano Caveri

La cronaca offre degli spunti su argomenti sui quali, non fosse che alla fine sono serissimi e colpiscono al cuore, verrebbe voglia di scherzare e ci vorrebbe la penna di un Trilussa alla valdostana per dipingere molte situazioni in modo più brillante ed efficace di certi declamatori bigi del "O tempora, o mores", che poi non risultano proprio così freschi di bucato per fare al resto del mondo la morale della morale. Che la scrivania sia stata uno status symbol non ci sono dubbi e Paolo Villaggio, nella descrizione della gerarchia impiegatizia, ha fatto narrazioni spassose sino al vertice: quel Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam con le poltrone in pelle umana. Io stesso ho avuto, in certi ruoli, delle scrivanie imponenti, direi ottocentesche, come quando sono stato presidente del Gruppo Misto o segretario di Presidenza alla Camera e pure sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con dotazioni fornite appunto a seconda della logica gerarchica.

In Europa ho imparato, portandolo poi nel mio ufficio di Presidente della Regione, quanto contasse di più la funzionalità che la proposopea e la retorica degli oggetti. Per cui in Regione avevo due scrivanie moderne di vetro temperato: una per riunioni con più soggetti e quella personale su cui lavoravo. Oggi l'attività politica si è molto modificata e la sua destrutturazione rende inutile certa logica di prestigio legato al mobilio e al resto. Leggo dunque con curiosità, essendo stato seduto ad una scrivania da presidente della Regione al secondo piano di piazza Deffeyes, del rinvenimento - par di capire durante lavori di manutenzione sul mobile antico, che è attuale postazione di lavoro della massima carica valdostana - di 25mila euro nascosti in un doppiofondo con documenti su cui non si è detto molto. Immagino che non citarne citarne l'esatto contenuto sia avvenuto per la necessaria riservatezza, non dicendo dunque se ci fosse qualche reale legame con la cospicua somma di denaro. Si teme, tanto per non essere ipocrita, che dietro al gruzzolo - di cui manca il proprietario - si possa celare una somma oggetto di un "do ut des", cioè un possibile patto luciferino di un eletto con qualcuno che ne potrebbe averne avuto utilità in cambio di soldi. Vedremo cosa sortirà e spero che si capisca bene e fino in fondo di che cosa si sia trattato, perché pure con contorni da spy story resta una storiaccia. Elemento aggiuntivo per la già scarsa, di questi tempi, reputazione della classe politica valdostana e questo fatto ulteriore ricade sull'intera comunità e la sua immagine. Oggi, se scrivete "scrivania" sul Web, questa scoperta del "tesoretto" nella scrivania in Regione esce in tutta la sua carica denigratoria e soprattutto alimenta sospetti di cui sarebbe stato davvero utile fare a meno. Non ho voglia di fare il moralista d'accatto, ma devo dire che in molte occasioni - anche in discussioni banali - mi è sembrato di cogliere in più di una persona il fatto che si possa considerare un politico che non chiede una "stecca" (e io non l'ho mai fatto) come un'anomalia, nella considerazione di troppi del rivoltante «così fan tutti...». Giustificazione che aborro assieme al perdonismo all'italiana, che consente a troppi farabutti di restare a galla e, per bon ton, evito di aggiungere a che cosa somigli questo loro galleggiamento.