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12 lug 2017

Sentirsi cosmopoliti

di Luciano Caveri

Una premessa è d'obbligo: la geografia mi è sempre piaciuta, perché mi è sempre sembrata una scienza varia, davvero senza confini, saltando da una materia all'altra per fotografare in modo composito la presenza umana in un certo luogo. Da piccolo mi sentivo come diceva Umberto Eco: «Da ragazzo sognavo sugli atlanti e vi immaginavo viaggi e avventure...». Sarà che il primo Caveri che ho ritrovato nella storia della famiglia, ad inizio Cinquecento, era un cartografo di Moneglia, ma le carte geografiche mi piacciono da sempre ed ormai esistono le stupefacenti cartografie satellitari e di dettaglio fotografico terrestre. Ma per fortuna c'è sempre, ad aprire altri orizzonti, la fantasia: quanti pensieri leggendo "Il giro del mondo in ottanta giorni" di Jules Verne, quando un libro ti faceva viaggiare senza muoverti! Esperienza che sto rivivendo leggendo per il mio figlio più piccolo i libri di Emilio Salgari, che descrisse luoghi lontani mai in realtà visitati.

Ma eccoci al punto: non è sempre facile inquadrare, per chi non la conosca, l'esatta collocazione geografica della Valle d'Aosta e ne ho sentite nel tempo di tutti i colori. Non sempre questo corrisponde alla distanza da noi della persona con cui parli: la geografia non è, ad esempio, materia molto praticata in Italia e a Roma trovavo persone che mi dicevano con aria garrula: «Sono stato a Cortina, dalle parti tue!». Certo, quando sei molto molto distante, centrare la nostra ubicazione diventa ancora più difficile. Milano sembra essere, un po' meno Torino, una scelta che serve al posizionamento. Ogni tanto il Monte Bianco o il Cervino possono avere una loro utilità di geoposizionamento per via della notorietà. Per altro la concezione dell'Europa - altro che l'Italia! - è piuttosto vaga. Ma bisogna dirsi la verità: vale una ragionevole reciprocità. Ho fatto, piuttosto ravvicinati, due viaggi in Oriente, scoprendo due cose, pur da persona che prima di partire legge nozioni di base sulle guide "Lonely Planet". La prima è che come gli orientali in genere hanno una certa vaghezza sui Paesi europei, scopro anch'io gravi limiti sulle diverse zone dell'Asia. In secondo luogo, malgrado gli sforzi, distinguere sudcoreani, cinesi, giapponesi, indonesiano, thailandesi non è per nulla banale. Ho osservato andirivieni di persone in certi buffet, con corner etnici che servivano alla distinzione, per meglio destreggiarmi, ma l'esito è stato assai deludente. Così come è molto difficile distinguere, per il mio orecchio, la diversità linguistica che pure deve essere enorme. La visita dei luoghi aiuta poi a togliersi convinzioni infondate. Da tempo mi sono appassionato ai draghi, nella convinzione - supportata anche da un amico studioso - che anche da noi ci fosse qualche grosso lucertolone, che i cavalieri medioevali avevano mitizzato per dare lustro alla loro uccisione. Per capirci. E nei miei viaggi avevo già visto in America centrale delle iguana mica da ridere, mentre in Indonesia ho visto dei varani, pensando però che il "drago di Komoto" fosse un rettile di specie diversa, invece anche lui - che è meglio lasciar perdere perché velenoso e vorace - è un varano. Serve a qualcosa? No. Ma una parte di me mantiene curiosità anche futili. Quel che poi colpisce è la scoperta di come in certi Paesi orientali prosperi quel sincretismo religioso, che mischia elementi di varia origine. Anche se purtroppo non sempre la convivenza è pacifica e si nota come l'islamismo estremista rischi di diffondersi con madrasse ideologizzate, rendendo sempre meno sicure zone del mondo, anche dove un tempo si riusciva a convivere nella diversità delle fedi. Comunque sia, viaggiare e conoscere resta proprio l'antidoto agli odi senza ragione. Per questo mi piace sempre quella vecchia parola che è "cosmopolitismo".