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09 feb 2017

Raggi e i limiti del grillismo

di Luciano Caveri

Gira che ti rigira, anche nelle occasioni più disparate, si finisce per parlare di politica ed io ormai mi regolo a seconda delle circostanze diverse in cui mi trovo e ovviamente degli interlocutori che incontro. I momenti migliori sono quando posso passare inosservato per seguire da vicino certi pensieri sul tema, che spesso scaldano gli animi e fanno parlare più con le budella che con la testa. Chissà che non esista una terza via rispetto alla celebre osservazione del grande George Orwell, che diceva: «I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, ed i realisti con i piedi nel fango». Questo vale anche per i chi discute, chiacchiera della politica...

Può anche darsi che attorno al "caso Raggi" si concentri un interesse forse eccessivo. Titoloni e pagine intere riguardano questa Virginia Raggi, che sembra sempre essere scesa da un'astronave con questa aria smarrita che lascia imbarazzati non capendo se "Ci è o ci fa". Propendo per la prima ipotesi e cioè che sia proprio così, come imbambolata, anche se poi a vedere il percorso tortuoso che l'ha portata al Campidoglio - ed ormai si capisce che qualcosa nella scelta non ha funzionato - c'è chi insinua l'idea che sia più un vecchio dipinto di nuovo che un nuovo vero. Ma ho l'impressione che questa volta non basterà la pervicace difesa di Beppe Grillo a mantenerle la fascia tricolore a lungo. La questione dell'assicurazione sulla vita «a sua insaputa» da parte di quel Salvatore Romeo con cui parlava sul tetto del Municipio che dà sulla Roma antica, assume ormai aspetti grotteschi, che penso sarebbero piaciuti al grande Trilussa, che ha scritto una poesia sulla Politica, che sembra adatta alla Città Eterna. "Ner modo de pensà c'è un gran divario:
 mi' padre è democratico cristiano,
 e, siccome è impiegato ar Vaticano,
 tutte le sere recita er rosario;

 de tre fratelli, Giggi ch'er più anziano
 è socialista rivoluzzionario;
 io invece so' monarchico, ar contrario 
de Ludovico ch'è repubbricano. 

 Prima de cena liticamo spesso
 pe' via de 'sti principî benedetti:
 chi vò qua, chi vò là... Pare un congresso!

 Famo l'ira de Dio! Ma appena mamma
 ce dice che so' cotti li spaghetti
 semo tutti d'accordo ner programma".

La verità, insomma, è che l’attesa della svolta dei "Cinque Stelle" su Roma è stata una grande delusione ed ormai varrà poco quando si giungerà, con voto sul sito di Grillo, alla sospensione o all'espulsione della giovane sindaca. Perché la litania di vicende borderline avrebbe invitato ad una soluzione rapida, ma questo vorrebbe dire elezioni anticipate ed addio a questa carica prestigiosa, vetrina del "MoVimento". Ma se vetrina non è, allora indugiare ingenera sospetti. Personalmente mi stupisco di un fatto: come si possano catalogare le buone intenzioni di una forza politica che fa della trasparenza e del voto popolare on line il proprio Vangelo con la constatazione che, alla fine, il padre padrone resti uno solo, Beppe Grillo. E' lui a dettare la linea in un partito che si configura in tutto e per tutto come un partito personalista, che può anche piacere e avere successo per la carica antisistema che sa interpretare, ma la democrazia e la partecipazione sono semplicemente altra cosa. Scriveva poche ore fa Sergio Rizzo sul "Corriere della Sera": «La storia che si snoda all'ombra del Campidoglio in salsa grillina testimonia quanto siano pericolosi gli effetti di un meccanismo selettivo modellato sui social media, che spinge a creare gruppi chiusi di amici e affini. Il sistema incentiva la diffidenza verso tutto ciò che non appartiene a quel mondo, con il risultato di favorire anche il tanto deprecato familismo: la forma di selezione in assoluto meno efficiente che si conosca». Chissà come tutto si evolverà: certo la questione va seguita per il peso elettorale che "Movimento cinque stelle" continua ad avere - malgrado tutto - nei sondaggi. Ma "il caso Raggi" pesa e certe dichiarazioni assomigliano alla politica più vecchia del vecchio e ad una frase ficcante di Georges Clemenceau: «Tout le monde peut faire des erreurs et les imputer à autrui: c'est faire de la politique».