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11 nov 2016

Certi nodi dei Social

di Luciano Caveri

L'appello a mantenere la curiosità, pena un'incomprensione di quanto ci circonda, l'ho scritta e ripetuta sino allo sfinimento. La logica rinunciataria rispetto ad un mondo che cambia - di cui la punta dell'iceberg resta Internet nella sua miriade di applicazioni - condanna anche la persona più intelligente ad una sorta di esclusione, che porta solo a conseguenze negative, finendo su un binario morto fatto di nostalgie e di rimpianti, pratica da fine corsa. E' vero che, come osservavi all'inizio, non è facile restare reattivi rispetto ai cambiamenti e spesso si vuole restare legati alla rassicurante "coperta di Linus" delle proprie abitudini e del perimetro rassicurante delle certezze acquisite che talvolta diventano una gabbia dorata. Penso a come siamo sottoposti alla ricezione ed all'analisi di una grandissima quantità di notizie e di immagini, impensabile per quantità e frequenza sino a qualche anno fa.

Un arricchimento, certo, ma anche una gran fatica per una continua sollecitazione che ci rende instancabilmente vigili, dal nostro risveglio fino a quando ci addormentiamo e pure il sonno oggi può essere spezzato da una sbirciatina al proprio telefonino. Inutile su questo fare troppi moralismi e lamentarsi dei rischi, specie per i giovani, del manifestarsi di dipendenza vera e propria con l'incognita di una vita troppo virtuale che finisca per sostituirsi a quella reale. Non sono logiche di proibizionismo a consentire l'acquisizione personale di comportamenti che fissino regole di utilizzo sensate, semmai bisogna acquisire conoscenze su potenzialità e rischi di tutti quegli strumenti che ormai definiamo convenzionalmente "social", cui si possono aggiungere ulteriori definizioni - tipo "network" o "media" - a secondo dell'uso. Saranno il tempo e le circostanze a sgrezzarne l'uso e a fissare modalità di utilizzo che evitino abusi e alienazione. Questo è normale che avvenga quando l'affermarsi di un fenomeno sociale è talmente rapido e in continua evoluzione da diventare sfuggente e difficile da fissare nei suoi usi e costumi perché appena cerchi di fissare delle norme l'oggetto di questa regolamentazione è già mutato. Certe discussioni di queste ore sul tema non sono banali: pensiamo agli abusi nei contenuti di "Facebook" di cui si occupa la magistratura tedesca contro i negazionisti dell'Olocausto l'esaltazione de Nazismo o la questione del diritto all'oblio dopo il suicidio della giovane napoletana che aveva messo in Rete un filmato porno poi dilagato sul Web. I "social" hanno, per esempio in questi casi, comportamenti sfuggenti e l'ho verificato di persona in casi in cui ho segnalato abusi o comportamenti scorretti che aveva personalmente verificato su "Twitter", che frequento da alcuni anni, come si vede anche qui a fianco. In certi casi si trattava di porre argine a notizie false, ad insulti gratuiti, a baggianate complottiate o a informazioni fuorvianti in questioni importanti come la salute. Ma capisco come la logica libertaria alla radice dei "social" e della Rete nel suo complesso evidenzi pregiudizi verso interventi censori, ma queste origini non possono consentire utilizzi distorti e pericolosi e comportamenti omissivi da parte di chi gestisce strumenti delicati perché invasivi e persuasivi. Confesso un interesse crescente nel cercare di capire quale possa essere un uso buono dei "social" in politica: per ora siamo davvero ad un suo uso limitato, spesso più propagandistico o da sfogatoio della pancia delle persone, e questo - malgrado tanti "guru" al capezzale dei partiti - sembra non aver apportato cambiamenti importanti ad esempio nelle logiche di confronto e di elaborazione con l'uso di certe tecnologie, che pure lo consentono. Credo che sia una pista da seguire per l'asfittica e pencolante Democrazia.