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16 ott 2016

La perenne campagna elettorale di Renzi

di Luciano Caveri

Parlare della riforma costituzionale rischia di essere ormai un'occasione per farsi spernacchiare, visto che da qui al 4 dicembre la cacofonia attorno al tema rischia di alzarsi ancora di volume in quella può essere considerata la più lunga e rumorosa campagna elettorale nella storia della Repubblica e la strategia è stata dettata da Matteo Renzi, convinto inizialmente di fare un blitz autunnale e poi, capita l'antifona, ha deciso di spostare all'ultima data buona il referendum a venti giorni dal Natale. Certo, fare la campagna per il "sì" al referendum costituzionale, come sta facendo Renzi, da presidente del Consiglio, è assolutamente confortevole: viaggia a spese dello Stato ed organizza tutte le manifestazioni con l'apparato pubblico e riunisce nelle sue visite ufficiali non solo i suoi tifosi favorevoli ma tutti quelli che, trattandosi di una visita del Premier, devono obbligatoriamente esserci.

Par di capire che analogo comportamento è stato imposto ai Ministri della Repubblica, che si stanno muovendo dappertutto: Elena Boschi, algida testimonial del Governo, è stata anche in Sudamerica, perché il voto degli italiani all'estero potrebbe rivelarsi decisivo. In un Paese normale sarebbe il custode dei valori costituzionali, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a chiamare Renzi al Quirinale per una salutare lavata di capo, invitandolo alla sobrietà di comportamento ed a non mischiare il suo ruolo istituzionale con quello di capo di un partito politico. Ma penso non lo farà e mi spiace, perché è vero che esiste un debito di riconoscenza per essere salito al vertice dello Stato, ma ci sono anche obblighi istituzionali per tenere la barra dritta. D'altra parte se penso a quante - giustamente! - ne abbiamo dette su Silvio Berlusconi e il suo uso spregiudicato e propagandistico delle televisioni (comprese le sue) ed ora, basta accendere qualunque canale, e spunta Renzi in tutte le salse ed il punto è sempre lo stesso: propaganda per il referendum a proprio favore. Naturalmente il fronte del "no" - lo dicono i rilevamenti - non gode dello stesso tempo e dunque parte su questo terreno da una posizione di assoluta minorità in barba a tutte le norme sulla par condicio. Ma quel che è interessante nella strategia elettorale renziana è l'assoluta evidenza che una serie di misure di prebende a pioggia non avvengono in un periodo neutro, ma fanno parte di un disegno seduttivo, che ha sempre come scopo il voto popolare in una manifesto "do ut des". Questo vale naturalmente non solo per cose fatte, ma agisce moltissimo anche sulle promesse di realizzazione, che sono il punto forte del Premier, che a raffica - scegliendo i temi a seconda di chi incontra - fa promesse le più varie, che poi in gran parte cadono nel dimenticatoio, ma - come si sa - la notizia eclatante fa i titoli, mentre la smentita passa in sordina e l'effetto annuncio è quello che agisce sulle persone, molte delle quali disinformate. Vi è poi il catastrofismo suo e dei suoi su terribili scenari di un "senza di Lui", come se i risultati ottenuti fossero così straordinari da immaginare che qualunque altra scelta possa risultare catastrofica. Penso, ad esempio, che l'oscillare sul tema «se perdo me ne vado» (ieri su "La Stampa" si diceva «cambio mestiere» e sarebbe interessante, letto il suo curriculum vitæ, sapere quale potrebbe essere) sia frutto dei famosi guru americani da campagna elettorale che usano lo "stop and go" sul punto, immaginando che questo avvenga con una consultazione compulsiva dei dati che riguardano l'andamento del voto con i suoi alti e bassi. Dato eclatante è comunque il crollo di fiducia che tutte le rilevazioni demoscopiche confermano proprio su Matteo Renzi, che ha disperso mese dopo mese un patrimonio di fiducia enorme alla partenza della sua esperienza governativa. Ora, anche se spesso maramaldeggia, immagino che sia sinceramente preoccupato e con lui un entourage che senza di lui scomparirebbe all'orizzonte. Insomma: una situazione sgradevole, fatta anche di tifoserie sempre più esacerbate in un clima complessivo - non mi riferisco solo all'Economia malconcia - che non promette nulla di buono. Ma con il "no", almeno, si resetta la situazione.