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14 set 2016

Che barba!

di Luciano Caveri

Il tema è futile, ma è una indicazione di costume che può avere un suo interesse, specie per non inseguire solo gli orrori o i mal di pancia che ci vengono proposti ogni giorno. Per cui mi scuso della digressione leggera e spero di non essere... barboso. Un gioco di parole che apparirà tra breve in tutta la sua ovvietà. I giovani di oggi - nozione ormai tirata come un elastico sempre più in là e sarà per questo che mi sento ragazzo (scherzo) - hanno riscoperto la barba, la cui antichità è dimostrata - per avesse voglia di consultarla - dalla singolare lettura della voce "barba" della "Treccani". Comunque sia, chi si fosse distratto si guardi attorno e noterà come questo ritorno sia una palese evidenza ed in Valle d'Aosta, dove barba e baffi avevano tenuto di più rispetto ad altre zone anche nei periodi meno... pelosi, il fatto è ancora più macroscopico.

A me - che da sempre sono glabro (ma avevo nella mia famiglia un sacco di zii Caveri baffuti) - la barba, specie l'attuale barbetta minimalista ma pure quella lunga da "hipster", non piacciono, ma capisco che i gusti non sono tutti al limone. Il fenomeno - pensate un po'! - è stato studiato dall'Università australiana del New South Wales, che ha cercato una spiegazione scientifica al ritorno sulla scena e sulle facce della barba, che segnala anzitutto una particolarità che dovrebbe esaminare l'imberbe premier Matteo Renzi. Nel senso che la peluria facciale e la sua ostentazione sembra essere una moda strettamente legata alle crisi economiche e alla loro ciclicità. L'ultimo trend è cominciato nel famigerato 2008, quando l'economia mondiale è scesa a picco, ed ha avuto uno sviluppo simile a quello avuto negli anni Venti del secolo scorso: ricordate la crisi del 1929? Sembra, così dicono gli studiosi, che la moda si estenda in epoca contemporanea si estenda su un arco di tempo di almeno trenta, quarant'anni. Così primi anni Settanta si sono caratterizzati per barbe piene e basette da competizione, seguiti poi dalla mania dei baffi nella seconda parte del decennio. Negli anni Ottanta il baffo si è progressivamente evoluto in pizzetto, al culmine nel primo biennio degli anni Novanta, quindi è cominciata la parabola discendente dell'uomo barbuto. Dalla fine degli anni Novanta, fino a praticamente alla seconda metà degli anni Ottanta, l'ideale maschile è stato dominato da un volto e da un colpo glabro, con la rimozione compulsiva di qualsiasi pelo superfluo, sopracciglia e intimo compresi (per chi seguiva la moda). Quindi il ritorno attuale della barba, che sarebbe determinato da una banale ragione: quando una caratteristica estetica che si fa uso collettivo è troppo diffusa, sarebbe più vantaggioso per l'uomo dimostrarsi anticonformista e andare di conseguenza controcorrente. I dati storici dimostrerebbero come in un periodo di volti lisci, gli uomini barbuti ottengono maggior successo e, quando tutti si sono spostati su quel modello comportamentale, la situazione si inverte in quel movimento ciclico di va e vieni, fatto di barbe crescenti e rasature inesorabili. Quindi prepariamoci alla svolta: per me nulla cambierebbe, anzi confesso che dopo un uso continuo di lametta - il Barone di origine valdostana Marcel Bich mi raccontò come gli venne in mente, dopo averlo fatto la celebre penna (migliorata rispetto alla "biro" di Biro), di inventare il rasoio usa e getta! - sarei tentato di passare al rasoio elettrico. Ci tengo a ribadire che l'unica certezza è per me: niente barba o baffi. Sono d'accordo con Umberto Eco - grande barbudo (non è un refuso!) - che diceva che, in fondo, la barba è una maschera.