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16 ago 2016

La forza della "joie de vivre"

di Luciano Caveri

Capita delle volte, per fortunata combinazione, di riflettere sulla "gioia di vivere". Nel mio caso sono alcune belle giornate estive nella mia Valle d'Aosta con amici e familiari, ma poi ad arricchire i pensieri irrompe sulla scena l'Olimpiade di Rio de Janeiro e mi trovo travolto dai ricordo di un soggiorno, ormai qualche decennio fa, in questa città unica e straordinaria. Fu la prima occasione - ero poco più che ragazzo - per conoscere questo Paese e la sua popolazione, dove l'inflazione galoppava, i problemi sociali erano enormi, la povertà manifesta specie rispetto a grandi ricchezze e via di questo passo in quel limbo in cui vivevano sospesi fra Terzo Mondo e porte aperte verso la parte più ricca del mondo. Ma quel che colpiva di più era come i sensi avvertissero odori, colori, sapori, sensualità (una lunga serata ad una scuola di samba è ben presente) ed energia in un mix straordinario che sortiva in modo plastico che cosa potesse ritenersi come la gioia di vivere contro tutto e contro tutti. La capacità di trovare un lato solare e appunto vitale che rovesciasse anche la prospettiva più grigia.

Ora guardo Rio e quei luoghi della memoria (con amici affittammo un appartamento a Copacabana!) e penso di provare una sorta di "saudade": un termine che deriva dalla cultura lusitana, prima galiziano e portoghese e poi brasiliana, che indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia. Etimologicamente, deriva dal latino "solitudo, solitudinis, solitudine, isolamento" e "salutare, salutatione, saluto". E' qualcosa di forte e struggente che, nel mio caso, si tinge della consapevolezza che quella volta - e quando tornai in Brasile - imparai una lezione: quella, che pure nel mio carattere c'era già, di guardare al lato positivo della vita, forse ottimismo o meglio la gioia di vivere. Il sito "l'Internaute" riporta questa sintetica spiegazione letteraria, che dimostra come l'espressione sia antica: "Cette expression daterait du XVIIe siècle, époque à laquelle elle était employée par l'homme d'Église, théologien et écrivain français Fénelon, avant d'être plus couramment utilisée au XIXe siècle notamment par des écrivains, dont Michelet et Zola". Proprio Émile Zola pubblicò un romanzo con il titolo "Joie de vivre", che dovrebbe avere caratteri autobiografici proprio rispetto alla vita dell'autore. Finita come slogan pubblicitario, pure del "Casino de la Vallée" di Saint-Vincent quando lì albergava ancora ottimismo, credo che oggi l'espressione connoti il mio pensiero come approccio alla quotidianità anche quando le cose non girano per tutte le ragioni che possono manifestarsi e sovrapporsi, perché un certo approccio è una via d'uscita, una luce in fondo al tunnel. L'alternativa è il grigiore della routine, il lasciarsi vivere o la terribile incombenza del "male di vivere". Ricordate la celebre poesia di Eugenio Montale? "Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi; fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato".

Elogio dell'indifferenza, che è forse una soluzione mediana: allora meglio scegliere un quadro quel "Joie de vivre" di Pablo Picasso che venne dipinto nel 1946 a Antibes, nel quale la sabbia è d'oro, la luminosità del cielo e la calma del mare sono resi da tonalità del blu. Il dipinto rappresenta una donna dalle sembianze di un fiore che, al centro di una sorta di balletto pagano, celebra con satiri, fauni e capretti il piacere di vivere, in riva al mare, sotto un cielo di madreperla iridescente. Spesso i dipinti sono meglio delle parole!