Sono stato relatore in Consiglio Valle di una legge novellata sulla toponomastica.
Un argomento da non sottostimare affatto, perché i luoghi ci parlano da ogni angolo della nostra Valle attraverso i nomi che i valdostani di tutte le epoche hanno dato alle diverse località con ingegno e fantasia e con stratificazioni linguistiche che ci riportano all'alba del popolamento del nostro Paese con tutte le influenze successive.
Di queste definizioni, che sono naturalmente in continuo movimento perché non esiste una fissità museale, bisogna essere attenti custodi proprio per questi aspetti culturali e le evidenti implicazioni storiche.
Ho avuto modo di intervenire in aula e quella che vi riporto è la registrazione del mio intervento, che mi auguro possa risultare interessante per i frequentatori del mio sito.
Il Consiglio Valle, dopo mesi o forse anni di manovre di avvicinamento, ha votato l'allargamento della maggioranza regionale al PdL.
L'UV "apre" così alla Destra che governa a Roma, dopo riunioni interne che hanno seguito la linea tracciata dai vertici.
La mia posizione, per chi frequenti il sito, è ben nota e critica per una serie di ragioni che ritengo fondate e che difendo.
Quello che potete ascoltare qui è il mio intervento in aula, che riassume una buona parte dei miei pensieri.
Senza peli sulla lingua, come mio costume, anche se non credo mi porterà bene...
Partendo da una leggina con modifiche minimale sulla legge sui simboli della Valle d'Aosta del 2006, ci si è trovati alla fine in Consiglio Valle a discutere dei problemi della "Festa della Valle d'Aosta".
Ora, la nuova normativa accorpa la "Festa della Valle d'Aosta", che è stata celebrata in concomitanza con il Patrono di San Grato, il 7 settembre, con la commemorazione dello Statuto speciale, che si tiene l'ultima domenica del mese di febbraio. Inoltre, viene consentita, nei Comuni della valle del Lys, l'esposizione della bandiera della comunità walser accanto alla bandiera italiana, europea e regionale ed è previsto che i "Rendez-vous citoyens" - le iniziative dirette alla sensibilizzazione sui temi dell'educazione civica rivolte alle istituzioni scolastiche e ai giovani residenti in Valle, possano essere organizzati dalla Presidenza della Regione, dall'Assessorato regionale dell'istruzione e cultura e dal Consiglio Valle e siano allargati all'insieme della popolazione.
Essendo stato il "papà" della prima legge, l'occasione è valsa per fare qualche ragionamento che spero possa risultate interessante riascoltare qui sul sito.
Emoziona sempre, ma è anche un gran piacere, prendere la parola al congresso dell'Union Valdôtaine. Siamo di fronte, infatti, alla più grande assemblea democratica che in Valle è possibile riunire con oltre quattrocento persone provenienti da tutti i paesi. Molti, dopo tanti anni, sono amici con cui si sono condivise tante battaglie.
L'emozione poi deriva dal fatto che - chi l'ascolterà lo verificherà - ho cercato di parlare con franchezza e non in "politichese". Non si trattava di parlare contro Tizio o Sempronio ma di esprimere preoccupazioni e disagi che valgono in senso assoluto e non solo sulla base delle questioni contingenti.
Spesso, di questi tempi, in casa unionista c'è chi tace in pubblico quel che sostiene in privato. Un "doppio binario" che deriva dall'idea di "disturbare" o dal timore di prendersi una lavata di capo.
Il confronto delle idee, che a al di là delle persone, deve essere invece la forza di un movimento autonomista, che deve avere una logica "plurielle" proprio per mantenere quel carattere di partito "di raccolta" senza il quale sarebbe destinato a continuare a perdere pezzi.
E' un tema antico che attraversa la storia dell'UV fra unioni e disunioni. Mai come oggi l'unione nel pluralismo delle posizioni e in un uso intelligente dei meccanismi democratici è una necessità di fronte alla crisi, tema portante del congresso unionista.
La manovra finanziaria regionale, approvata dal Consiglio Valle, è stata discussa in un clima kafkiano, visto che già si sa che il "decreto Monti" farà dimagrire il bilancio regionale di una cinquantina di milioni di euro.
Non sono bruscolini, pensando ai "tagli" già precedentemente incassati e che mutano ogni volta la stabilità del nostro riparto fiscale.
Nella lunga maratona oratoria che impegna i consiglieri si susseguono gli interventi. Io il mio l'ho già fatto e non mi sono perso nel dedalo dei numeri, ma nella sostanza che resta politica.
Carlo Bertini de La Stampa intervista il Professor Massimo Luciani, accademico dei Lincei e costituzionalista, sulla riforma costituzionale sul premierato.
Una scorciatoia che Giorgia Meloni ha costruito come un vestito da indossare per il futuro. Avrò tempo di scriverne a fondo: resto, intanto, convinto che non spiri aria costituente, che prevede un sentimento più vasto e inclusivo. In più le riforme costituzionali non si fanno a spizzichi e bocconi “Cicero pro domo sua”.
Ma ho citato Luciani per una sua dichiarazione esemplare più generale: “Servirebbe la ricostituzione di una vera società civile, ricostruire il sistema dei partiti, rimettere in campo soggetti del pluralismo disponibili al dialogo e non soltanto feroci curatori dei loro interessi particolari (si tratti, che so, dell'ambientalismo o della tutela della famiglia tradizionale). Insomma, si dovrebbe recuperare l'arte della mediazione e ricostituire quei meccanismi di solidarietà sociale che il Paese ha smarrito e che invece aveva dimostrato di saper produrre nella prima parte della pandemia. A fronte dell'enormità di questi problemi, il topolino partorito è palesemente inadeguato”.
Sottoscrivo!