Anni di osservazione, nell'ozio marino, nei luoghi più diversi, mi confortano nell'idea che nulla come una spiaggia sia un microcosmo che riproduce vizi e virtù umane. E tutto, come in televisione, rigorosamente in diretta e, se si frequentano gli stessi posti ogni estate, è come un serial a puntate con nascite, morti, amori e tutto il resto.
Le "compagnie" - io l'ho vissuto alla "Spiaggia d'Oro" d'Imperia - ti inglobano da bambino e, a un certo punto, ti scopri adulto e la spiaggia ti ha svezzato fra castelli di sabbia, prime cotte, juke-box, piste per le biglie coi ciclisti sopra, pizze e granite, i cavalloni delle mareggiate, aperitivi, bagni di mezzanotte e altro ancora. Molti "fondamentali" son passati di lì in un'educazione sentimentale stampata nei ricordi.
Gli antropologi, al posto di perdere tempo a studiare tribù in Amazzonia, dovrebbero farsi imprestare uno di quei trespoli d'osservazione dei bagnini e limitarsi a guardare il popolo in costume da bagno tra battigia e cabine. I sociologi dovrebbero mettersi in braghette e guatare fra gli ombrelloni gli umori profondi della società fra abbronzanti e iPod nelle orecchie. Gli psicoanalisti avrebbero il vantaggio di un'umanità già stesa sul lettino, anche se più abituata alla immersione totale da tintarella che all'analisi.