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05 lug 2021

Un mondo alla rovescia

di Luciano Caveri

Viviamo in un mondo in cui si stanno perdendo i punti di riferimento. Per dire: ero assai sereno e curioso nell'affrontare le famose "teorie del gender", che ora mi paiono rischiose per chi nell'iperbole propone ragionamenti borderline e fuori fase. Non perché io abbia pregiudizi o forme di esclusione: sono libertario per natura, ma vorrei che si smettesse di creare filoni fatti di certezze indiscutibili ed invadenti che creano confusione e azzardi. Idem sulla galassia antivaccinista, di cui scopro ogni giorno muovi cultori anche in gangli vitali, tipo la Facoltà d'infermieristica di Aosta. Un mondo alla rovescia, fatto di studi segretissimi e rivelazioni mirabolanti imbevute di superstizioni e cospirazionismo. Roba da brividi, che sbalestra ogni logica razionale ma dilaga.

Cosa non dire poi del fenomeno animalista con gente pronta a proteste e violenze contro la stessa razza umana, di cui alcuni si spingono ad auspicare l'estinzione. L'antispecismo che si trasforma in militanza in una realtà sociale in cui ormai, per troppi, è meglio avere un bel cane che avere un bambino. Rovesciamenti di fronte illogici ma purtroppo penetrati in tante teste. Ci sono poi coloro che leggono la storia con gli occhi di oggi ed abbattono statue e cancellano vite di personaggi del passato sinora considerati rispettabili. Pure le favole ed i cartoni animati non vanno bene, perché il lupo non è cattivo e il principe ha baciato Biancaneve a sua insaputa. Siamo al punto in cui a tradurre un autore di colore dovrebbe essere un traduttore di colore, idem per un doppiatore di un film ed altre analoghe amenità. Segnalo in ultimo che il "New York Times", nel nome del politicamente corretto se la prende con «le persone di bell'aspetto», colpevoli di togliere opportunità ai soggetti privi di spiccati pregi estetici. Aspettiamoci la campagna degli antipatici contro i simpatici e dei disonesti contro gli onesti. Efficace sul punto di non ritorno Beppe Severgnini che sul "Corriere della Sera" racconta una storia incredibile: «Chi sceglie lettere classiche all'università di Princeton - tra le migliori degli Usa, insieme a Harvard e Stanford - non avrà più l'obbligo di studiare greco e latino. L'ho scoperto su "la Lettura": i classic majors potranno ottenere il titolo accademico senza conoscere la lingua di Omero e Cicerone. Il motivo? Si intende promuovere "l'inclusività e l'equità dei curriculum". Il dipartimento - riporta "The College Post" - ritiene che la cultura greca e latina "siano state strumenti, e complici, in varie forme di esclusione, inclusa la schiavitù, la segregazione, la supremazia bianca e il genocidio culturale". Liquidare così le fondamenta del pensiero occidentale - sulle quali gli Stati Uniti d'America sono stati costruiti - è, di per sé, spaventoso. E il motivo lascia interdetti: al fine di non escludere gli studenti considerati svantaggiati, per motivi etnici, culturali o sociali». Più avanti mi riconosco nella descrizione: «Anch'io ho studiato latino e greco, al liceo. Non ero certo il più bravo della classe. I migliori erano ragazze e ragazzi che venivano da famiglie meno privilegiate, si direbbe adesso: famiglie dove i genitori non avevano frequentato il liceo e non ti sgridavano in latino ("Est modus in rebus!"). Quei miei compagni hanno fatto carriere notevoli, anche in campo scientifico: latino e greco sono stati il loro trampolino». Ma torniamo al punto. Sono stufo della barbarie a cui ci portano ragionamenti strampalati in coppia con gli estremisti del "politicamente corretto", che finiscono per essere zotici e incolti.