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03 mar 2017

Tu, Lei e Voi

di Luciano Caveri

C'è una progressiva evoluzione del costume linguistico, che ci coinvolge tutti, perché - a meno che non si viva come eremiti fuori dal mondo - la comunicazione verbale ed il forte ritorno quella scritta, attraverso i "social" nelle loro varie evoluzioni, implicano una socialità. Tutti quelli della mia generazione hanno vissuto il passaggio, sempre più forte dal "Lei" al "Tu" e si nota, come fanno ormai i propri bambini a scuola con molti insegnanti, ma anche come veniamo apostrofati ormai correntemente dappertutto, come "darsi del tu" non venga più richiesto ma imposto unilateralmente. A me capita - sono anacronistico - di chiedere ancora: «ci possiamo dare del tu», favorito ormai dall'età.

Situazione scioccante per chi è stato educato in un certo modo e forse si bea solo del fatto che il "Lei" invecchia ed il "Tu" sembra intriso di giovanilismo. Tempo fa, fu il rimpianto Umberto Eco a tenere una lectio magistralis sul tema: "Tu, Lei, la memoria e l'insulto". Osservava il celebre semiologo: «La lingua italiana ha sempre usato il "Tu", il "Lei" (al plurale "Loro") e il "Voi". Voi sapete che la lingua inglese (reso arcaico il poetico e biblico "Thou") usa solo il "You"!. Però contrariamente a quel che si pensa lo "You" serve come equivalente del "Tu" o del "Voi" a seconda che si chiami qualcuno con il nome proprio, per cui "You John" equivale a "Tu, John" (e si dice che gli interlocutori sono in "first name terms"), oppure il "You" è seguito da "Mister" o "Madame" o titolo equivalente, per cui "You Mister Smith" significa "Lei, signor Smith". Il francese non ha "Lei" bensì solo il "Tu" e "Vous", ma usa il "Tu" meno di noi, i francesi "vouvoyent" più che non "tutoyent", e anche persone che sono in rapporti di gran confidenza (persino amanti) possono usare il "Vous"...». Poi faceva un'incursione nella Storia: «Nella Roma antica si usava solo il "Tu", ma in epoca imperiale appare un "Vos" che permane per tutto il Medioevo (per esempio quando ci si rivolge a un abate) e nella "Divina Commedia" appare il "Voi" quando si vuole esprimere grande rispetto ("Siete voi, qui, ser Brunetto?"). Il "Lei" si diffonderà solo nel Rinascimento nell'uso cancelleresco e sotto influenza spagnola. Nelle nostre campagne si usava il "Voi" tra coniugi ("Vui, Pautass", diceva la moglie al marito) e l'alternanza tra "Tu", "Lei" e "Voi" è singolare nei "Promessi sposi". Si danno del "Voi" Agnese e Perpetua, Renzo e Lucia, il Cardinale e l'Innominato, ma in casi di gran rispetto come tra Conte Zio e Padre Provinciale si usa il "Lei". Il "Tu" viene usato tra Renzo e Bortolo o Tonio, vecchi amici. Agnese dà del "Tu" a Lucia che risponde alla mamma con il "Voi". Don Abbondio dà del "Voi" ad Agnese che risponde per rispetto con il "Lei". Il dialogo tra Fra Cristoforo e don Rodrigo inizia col "Lei", ma quando il frate s'indigna passa al "Voi" ("la vostra protezione...") e per contraccolpo Rodrigo passa al "Tu", per disprezzo ("come parli, frate?"). Una volta per rispetto, anche in un'aula universitaria o in una conferenza, si usava il plurale "Loro" ("come Loro m'insegnano...") ormai desueto e sostituito dal "Voi". Usato solo ormai in senso ironico è l'arcaico "Lorsignori". Ormai dire "come lorsignori m'insegnano" equivale a suggerire che gli interlocutori siano una massa d'imbecilli». Ma il passaggio più forte e anche noto, di cui ho avuto aneddotica anche in famiglia è il grottesco tentativo fascista dell'imposizione del "Voi". Ancora Eco: «Il regime fascista aveva giudicato il "Lei" capitalista e plutocratico e aveva imposto il "Voi". Il "Voi" veniva usato nell'esercito, e sembrava più virile e guerresco, ma corrispondeva allo "You" inglese e al "Vous" francese, e dunque era pronome tipico dei nemici, mentre il "Lei" era di origine spagnolesca e dunque franchista. Forse il legislatore fascista poco sapeva di altre lingue e si era arrivati a sostituire il titolo di una rivista femminile, "Lei", con "Annabella", senza accorgersi che il "Lei" di quel titolo non era pronome personale di cortesia bensì l'indicazione che la rivista era dedicata alle donne, a lei e non a lui. Bambini e ragazzi si davano del "Tu", anche all'università, sino a quando non entravano nel mondo del lavoro. A quel punto "Lei" a tutti, salvo ai colleghi stretti (ma mio padre ha passato quarant'anni nella stessa azienda e tra colleghi si sono sempre dati del "Lei"). Per un neolaureato, fresco fresco di toga virile, dare del "Lei" agli altri era un modo non solo di ottenere il "Lei" in risposta, ma possibilmente anche il "Dottor"». L'ultimo passaggio che cito dimostra come l'abuso del "Tu" possa essere sinonimo non di familiarità democratica ma di ignoranza: «Vi chiederete perché lego il problema dell'invadenza del "Tu" alla memoria e cioè alla conoscenza culturale in generale. Mi spiego. Ho sperimentato con studenti stranieri, anche bravissimi, in visita all'Italia con l'Erasmus, che dopo avere avuto una conversazione nel mio ufficio, nel corso della quale mi chiamavano "Professore", poi si accomiatavano dicendo "Ciao". Mi è parso giusto spiegargli che da noi si dice "Ciao" agli amici a cui si dà del "Tu", ma a coloro a cui si dà del "Lei" si dice "Buongiorno", "Arrivederci" e cose del genere. Ne erano rimasti stupiti perché ormai all'estero si dice "Ciao" così come si dice "Cincin" ai brindisi. Se è difficile spiegare certe cose a uno studente Erasmus immaginate cosa accade con un extra-comunitario. Essi usano il "Tu" con tutti, anche quando se la cavano abbastanza con l'italiano senza usare i verbi all'infinito. Nessuno si prende cura degli extracomunitari appena arrivati per insegnare loro a usare correttamente il "Tu" e il "Lei", anche se usando indistintamente il "Tu" essi si qualificano subito come linguisticamente e culturalmente limitati, impongono a noi di trattarli egualmente con il "Tu" (difficile dire "Ella" a un nero che tenta di venderti un parapioggia) evocando il ricordo del terribile "zi badrone". Ecco come pertanto i pronomi d'allocuzione hanno a che fare con l'apprendimento e la memoria culturale». Sottoscrivo e firmo.