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23 lug 2010

La cravatta infetta

di Luciano Caveri

Nulla è immutabile, pensavo questa mattina leggendo che il ministro della Sanità Ferruccio Fazio sconsiglia ai medici l'uso della cravatta negli ospedali, perché la cravatta - che non viene mai lavata - è nel peregrinare dei dottori fra un paziente e l'altro un veicolo con cui trasportare le infezioni. Ennesimo, duro colpo per la cravatta in certe circostanze dismessa dai leader politici, da Silvio Berlusconi a Barack Obama, mentre il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad - sempre senza cravatta - è stato bacchettato dagli integralisti religiosi per certe dichiarazioni troppo innovatrici sul possibile uso proprio della cravatta e sulla possibilità di non portare la barba in spregio a quelli che vengono considerati precetti veri e propri. La cravatta è certamente in crisi nell'idem sentire com'è ben visibile in diverse occasioni sociali e io stesso - che lo consideravo un obbligo protocollare per certi ruoli - oggi posso essere meno formale.  Che il tempo cambi mi deriva da un aneddoto familiare: quando il medico condotto Rinaldo Thoux accompagnò i miei genitori il giorno di Natale del 1958 alla vecchia maternità di Aosta (avevo deciso di nascere un mese prima del previsto), il dottor Thoux - esempio straordinario di medico sul territorio per competenza e umanità - chiese che gli venisse prestata una cravatta senza la quale non sarebbe stato dignitoso per lui presentarsi di fronte ai colleghi in ospedale...